“Lo schiaffo alla Grecia”
Sullo
“schiaffo alla Grecia”, Jens Weidmann, economista tedesco, ma soprattutto presidente della Deutsche Bundesbank dal 2011 , ha fatto un’osservazione
interessante.
«La decisione del nuovo
governo greco di fermare la cooperazione con la Troika dimostra quanto sia
impopolare la condivisione della sovranità nazionale con creditori stranieri (…).
Questo dimostra quanto sia politicamente difficile accettare l'influenza europea
sulle politiche nazionali».
“Impopolare”,
esatto. Allora, quando una politica economica è impopolare, che cosa si deve
fare? Andare avanti? Fermarsi? Mediare?
Dipende dai livelli di controllo e di obbedienza sociale. Ora, l’Unione Europea,
sotto questo profilo è estremamente debole: non c’è un potere politico in
grado di decidere e di indicare il nemico secondo una scala di pericolosità, non ci sono né esercito né polizia federali, eccetera. Quindi è corretto parlare di influenza
europea, come fa Weidmann: del potere
non di obbligare direttamente ma di influire indirettamente, come nel caso della cosiddetta "Troika", sulle decisioni
degli Stati, in termini di diritto privato, non pubblico. Di conseguenza, come
nel caso della Grecia, non si possono inviare le
truppe per sostenere un governo amico o combatterne uno nemico, ma si può minacciare di chiudere i rubinetti del credito. In fondo, tutto è più soft... Il che però non facilita né il dialogo, né la mediazione, né il passaggio a qualche forma di action, e per una precisa ragione: perché, in ultima istanza, la minaccia è soltanto economica: l’intensità della forza deterrente è bassa, dal
momento che resta aperta una via di fuga. Quale? Quella, come in
ogni forma contrattuale privatistica, di
non pagare i debiti contratti. E se per
un attore privato le principali remore a
fare un passo indietro, sono rappresentate
dal disonore sociale, nel caso di un
attore pubblico, il rifiuto di onorare un debito contratto all’estero, al
contrario, assurge a simbolo di onore politico, soprattutto nelle democrazie
(le antiche “Repubbliche”) dove il popolo per ragioni di legittimità politica deve essere ascoltato se non vezzeggiato. Di qui la difficoltà,
come appunto osserva Weidmann, di
prendere per gli Stati decisioni “impopolari”.
Ovviamente,
non intendiamo sostenere la necessità di un’Unione europea costruita (come il vecchio Patto di Varsavia)
sui carri armati, bensì di evidenziare come sia per tutti difficile la gestione di un quadro politico come quello delle relazioni tra attori pubblici, basati di regola sulla diffidenza e sui rapporti di forza. E non - nonostante gli auspici degli europeisti - in termini di relazioni tra attori privati fondate sulla reciproca fiducia e sul leale rispetto dei contratti.
In
conclusione, la “costruzione europea” per essere
tale (accantonando la questione della sua evoluzione culturale, che richiede secoli), implicherebbe l’esistenza di un forte centro politico in grado di
imporre le sue decisioni “politicamente”. E quindi, come è sempre accaduto in ambito internazionale, anche
con l' uso della forza. Ora, un forte centro politico, di regola, nasce intorno a capi autorevoli e/o carismatici, oppure per reazione alle minacce di un
nemico esterno; in alcuni casi il processo di unificazione può essere favorito da un forte alleato esterno, in funzione
di delega geopolitica dei poteri militari: alleato dal quale però si deve comunque dipendere. Quindi, come sembra aver intuito Weidmann, la questione greca è molto più complessa di quel
che a prima vista sembra apparire. Non si tratta solo di uno schiaffo.
Carlo Gambescia
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