giovedì 26 febbraio 2015

Il libro della settimana: Pablo Sánchez Garrido (Dir.), Consuelo Martínez-Sicluna (Ed.), Miradas liberales. Análisis polìtico en la Europa del siglo XX,  Biblioteca Nueva – Grupo Editorial Siglo Veintiuno,  Madrid 2014, pp. 232.   

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Ortega di lassù sorride. E per una semplice motivo: il lavoro  curato a quattro  mani da   Pablo Sánchez Garrido  e  Consuelo Martínez-Sicluna  (Miradas liberales. Análisis polìtico en la Europa del siglo XX,  Biblioteca Nueva – Grupo Editorial Siglo Veintiuno ) si muove nell’alveo della classica  distinzione orteghiana,  tra  idee e credenze, riveduta e corretta, per ammissione degli stessi curatori, alla luce delle intuizioni teoriche della Scuola di Cambridge (Quentin Skinner e dintorni), nonché  del “realismo histórico-político” di matrice ispanica  (Díez del Corral, Maravall, García-Pelayo, Conde e altri): il tutto, declinato nei termini  di una storia dell’analisi politica (historia del análisis político)  del pensiero liberale novecentesco nelle sue voci più intriganti e (perché no?)  dissonanti. 
Ci spieghiamo, usando una terminologia meno criptica.  Per Ortega, le idee vanno e vengono, le credenze  restano, perché hanno un fondamento storico profondo (la famosa “circostanza”). Infatti,  “ esse [le credenze] non sono le idee che siamo ma le idee che abbiamo” (Un capitulo sobre come muore una creencia,  “Obras Completas”,  IX, 707-725).  Quindi applicare la  distinzione orteghiana alla storia dell’analisi politica, significa studiare, collegandole, due cose:  sia come un pensatore espone le sue idee sulla realtà in cui si trova immerso, sia come analizza le credenze dominanti, sottoponendole alla sua visione critica, ossia alle sue idee.  Perciò, in questo caso, si tratta di  “sguardi” liberali” (miradas liberales)  -  le  idee -   che vanno a illuminare  una certa  realtà storica -  le credenze -   ma anche  sguardi  di altro tipo -  quelle idee  che  interagiscono, talvolta contrastandolo,  con il liberalismo (quando diventa a sua volta una credenza?) . Tutti spunti, ben messi a fuoco,  nella densa introduzione di  Pablo Sánchez Garrido. Ma procediamo per gradi.

Nel primo capitolo (Contextualización generale y metodológica ), Anna Jellamo,  ricostruisce la filosofia politica del  XX secolo intorno ai concetti di limite ( rappresentato dal riconoscimento dell’Altro, su un piede di parità) e dominazione ( costituita dalla subordinazione dell’Altro, come diverso, in senso peggiorativo, e  inferiore): conflitto  sempre pronto a riesplodere, da un lato i liberali dall’altro i nemici della libertà.  Non c’è ponte. Questa la dialettica.  
Invece, Dalmacio Negro Pavón delinea intorno all’eterno conflitto tra metafora organicista e meccanicista,   il moderno  svilupparsi di una pericolosa  tendenza al costruttivismo sociale, sorta di  teologia laica che  trasforma  lo  stato  in  pericoloso  dio mortale e l'individuo in  superstizioso credente nei miracoli sociali. Un bel saggio:  il   monito  Negro  è quello di  un  liberale, erudito, pacato e riflessivo,  monito che andrebbe attentamente ascoltato.  
Nel secondo capitolo, (Algunas  variantes de análisis político europeo en el siglo XX)  Paola B. Helzel, affronta la  famosa  analisi  di Hannah Arendt  della personalità,  anti-filosofica, di Eichmann, l'aguzzino nazista, quale vivente summa  burocratica  di un pensiero, quello totalitario, grigiamente  incapace di pensare se stesso: quella banalità del male, come ogni liberale dovrebbe sapere, sempre in agguato, soprattutto quando l’uomo qualunque  smette di pensare, trovando  appagamento nell’esecuzione di ordini e regolamenti solo perché tali.     
Montserrat Herrero offre una  finissima  ricostruzione del liberalismo di Isaiah Berlin, sionista per caso,  romantico, pluralista, ma non  per questo nemico dell’ agonalità, anche più dura. L’uomo sceglie, la Forza dispone. E non sempre si tratta della forza della ragione, come accade  nella parabola  militare  del sionismo,  intuita da Berlin.  Un liberalismo, il suo,  da riscoprire e valorizzare perché segnato da un profondo senso della realtà. E ovviamente, anche da alcune contraddizioni, in particolare una,  ben illuminata dalla Herrero: come conciliare il liberalismo, quale  posizione politica tra le altre, con il liberalismo,  come metro politico-morale di giudizio e sistema istituzionale? Questione ancora  in attesa di risposte esaustive, ammesso che  esistano... 
Jerónimo Molina Cano, con erudizione non comune,  si occupa di Gaston Bouthoul,  padre delle moderna polemologia:  altro liberale  capace di guardare in viso la  guerra come forma ineliminabile di conflitto.  Grande maestro di realismo prima che politico, esistenziale e  vitale nel senso più materiale possibile,  dal momento che Bouthoul, come spiega  Molina,  scorge nella guerra il manifestarsi di  un implacabile meccanismo di riequilibrio demografico: dura lex (sociologica) sed lex (sociologica).  
Juan C. Valderrama Abenza  si confronta con l’opera di Julien Freund, anch’egli liberale realista ( triste o archico, per un usare termini a noi cari),  perché consapevole  che la politica passa, il politico resta,  e solo ubbidendo al politico (come terreno teatro di  conflitti e del ripetersi di altre “essenziali” regolarità politiche, Miglio docet)  si può comandare alla politica. Eccellente lezione, che molti  sognatori della politica, soprattutto quella politicante o avvelenata dall’ ideologia  continuano a ignorare. Purtroppo.
José Ortega y Gasset (1883-1955) 
Nel terzo capitolo (Análisis político europeo en el contexto ibérico),  Mª Ángeles Varela Olea  si occupa di  Benito Pérez Galdòs,  evidenziandone  il lato volontaristico, tipico di  un liberalismo  riformatore e concreto, non immune però, curiosamente, da certo dottrinarismo. Jose Peña Gonzáles  ricostruisce abilmente il  liberalismo di Ortega, come  scelta morale, storicamente (e stoicamente) data,  capace di attraversare  il divario tra storia e politica, anche grazie ( tra le tante preziose intuizioni sociologiche) alla ricordata distinzione  tra idee e  credenze. Consuelo Martínez-Sicluna si occupa di Miguel de Unamuno analizzando la  tensione tra  “Historia”, come incarnazione del transeunte,  e “Intrahistoria”, quale dominio della spiritualità umana: di quel che non muta nell’uomo, da sempre immerso nel fiume della storia, le cui acque però, eraclitianamente, non sono mai le stesse. Questo il problema.
Infine, Pablo Sánchez Garrido indaga le contraddizioni politiche di  pensieri ricchi, suggestivi e complessi come quelli di  Ramiro  de Maetzu e António Sardinha ambedue  capaci  di confrontarsi, e creativamente,  con il tradizionalismo, il  liberalismo e  il nazionalismo.  E (perché no?) con l'antica ma non superata  grandezza della cultura  politica ispanica (il  primo) e lusitana (il secondo).  Di qui, una loro unità di intenti ma non di risultati concreti, complici i tempi e la brevità delle vite.   
Concludendo un eccellente volume, organico, ben costruito, in linea  con  le necessità teoriche della ricerca più avanzata,  degno di figurare nella biblioteca di studiosi e lettori  curiosi di capire  il ruolo del liberalismo novecentesco come forma di analisi politica, non  priva di contrasti e contraddizioni , ma  sempre dalla parte della libertà. Dell'individuo. 

Carlo Gambescia
                           
     

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