lunedì 15 dicembre 2014

Il manifesto in lingerie della Rodriguez
Quando Belén non sorride...





In tempi nei quali il sesso, condito in tutte le salse,  non provoca più alcuna reazione  perfino nei cosiddetti benpensanti,  che senso avrebbe   riflettere, in termini di archeologia sociale, sull’indignazione di  un comitato di cittadini milanesi per un maximanifesto stradale, dal quale occhieggia   una Belén Rodriguez seminuda ma corrucciata?  (*).  Attenzione: corrucciata.   Infatti,  non intendiamo occuparci del risentimento di un pugno di isolatissimi bigotti,  legato o meno, come  furbamente si dichiara, a una questione di sicurezza stradale, bensì di quella che  pare essere l’”arma” più pericolosa di Belén, proprio sotto il profilo pubblicitario: il sorriso…  Sul quale è possibile imbastire un “discorsetto sociologico” più interessante.     
Ma come? Partendo da Erving Goffman, acuto palombaro dei riti sociali, anche nell’ ambito della cosiddetta   ritualizzazione della femminilità in campo pubblicitario .
La sorridente Belén  degli spot  (e altro ancora)  va perciò subito ricondotta nell'alveo idealtipico, scavato da Goffman, della donna giocosa dalle attitudini infantili. Si noti la divertente gestualità di Belén: molto latina, eccessiva, clownesca, volutamente infantile. Capace di irradiare, attraverso un sorriso che si allarga fin quasi a coprire lo schermo, la felicità di una donna-bambina che cattura per un attimo gli uomini, veicolando un’euforia, che è promessa di consumo sessuale… Belén che sorride e ammalia, per dirla con Goffman, trasmette l’immagine gioiosa “di un bambino che mangia il gelato”.
Ovviamente, per il maschio-spettatore il gelato è la sorridente e sinuosa Belén … In questo senso il sorriso smagliante della modella argentina è un “non sorriso”, perché completamente fuori contesto, visto che non racchiude alcun indizio di vera socialità.
Certo, si tratta di pubblicità. Quindi parliamo di un'attività rivolta a rendere ancora più convenzionali e stilizzate le convenzioni sociali. Detto altrimenti: la pubblicità, di regola, deve trasformare la "promessa di non mordere", racchiusa nel sorriso, in "promessa punto e basta": in qualcosa di iperconvenzionale o di iperstilizzato. Di qui la decontestualizzazione di un sorriso che non è più tale, perché teso a favorire l'acquisto di una merce: uno scambio economico, non sociale.
Concludendo, siamo davanti a un "non sorriso": un’ “euforia che consuma” e che, soprattutto, deve far consumare. Perciò, dal punto di vista del marketing, quelle forme, anche in bella mostra, da sole non bastano. Insomma,  il  maximanifesto, al di là delle polemiche, è concepito male…   Per far vendere (e magari moltiplicare gli  incidenti stradali)  Belén deve sorridere…  Che poi sia un “non sorriso”,  fa parte del gioco.  Pubblicitario.    

Carlo Gambescia



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