Il libro della settimana: Giovanni
Orsina ( a cura di), Storia delle destre nell’Italia repubblicana, Rubbettino
2014, pp. 286 Euro 18.
http://www.store.rubbettinoeditore.it/home-1/storia-delle-destre-nell-italia-repubblicana.html |
Ecco il libro che mancava! Storia
delle destre nell’Italia repubblicana (Rubbettino), eccellente volume,
curato da Giovanni Orsina, professore di Storia contemporanea presso la Luiss-Guido Carli di Roma. Una ricerca che si avvale
della collaborazione di un nutrito gruppo di perspicaci
studiosi. Di qui l’onore e l’onere di citarli tutti, insieme al titolo
del rispettivo argomento affrontato: Gaetano
Quagliariello (Le destre in Europa nel
secondo dopoguerra: una periodizzazione); Vera Capperucci (La "destra" democristiana); Giuseppe
Parlato (Il Movimento sociale italiano);
Gerardo Nicolosi (Il Partito liberale
italiano); Andrea Ungari ( I
Monarchici); Eugenio Capozzi (La polemica
antipartitocratica); Guido Panvini (La
destra eversiva); Lucia Bonfreschi (Il
fenomeno leghista e la Lega Nord ); Giovanni Orsina (Il Cavaliere, la destra
e il popolo).
Per quale ragione mancava? Perché per decenni, dopo
il fatidico 1945, come nota Quagliariello, sulle destre ha pesato l’estrazione, l’alleanza,
il fiancheggiamento e la debole opposizione
nei riguardi del ventennio fascista. Il
che avrebbe prodotto, al
di là della pur importante questione politica, la desertificazione
storiografica. Il cui moltiplicatore ideologico aveva però matrice comunista: ci si riferisce in particolare a quell’egemonia culturale e politica che, in
nome dell’antifascismo (e dell’equazione anticomunismo uguale fascismo), è riuscita a relegare le destre in soffitta,
grazie anche all’acquiescenza di una cultura politicamente dominata dai nipotini di Gramsci e Togliatti, soprattutto dopo la caduta di Tambroni nel 1960 (governo timidamente aperto alla destra, a dire il vero, ancora molto nostalgica). Come del resto prova la vicenda stessa della
destre democristiane e liberali ridotte
ad appendici ornamentali di maggioranze
centriste, chiuse, per contratto, alla destra neofascista ed eversiva.
Perciò il libro curato da Orsina è importante perché “primo fiore nel deserto”. Il che non è poco.
Forse - non è però una critica - il volume risente di una leggera sfasatura:
impeccabile sotto il profilo della ricostruzione e periodizzazione storiografica, lo è meno su quello di un’ipotesi centrale,
più politologica, intorno alla quale forse - sottolineiamo forse - dovevano ruotare i diversi, e pur interessanti, saggi. Parliamo di una tesi politologica che in qualche misura circola nel libro: prima accennata
nell’Introduzione, poi chiaramente formulata, nel saggio conclusivo sulla destra
berlusconiana, molto ben scritto
da Giovanni Orsina. E, in soldoni, di quale tesi si tratta? Di una destra, o meglio delle destre capaci di opporsi a quella visione “ortopedica e
pedagogica” che invece sembra aver segnato, non solo ex cathedra, la storia d’Italia: per cui il Paese legale ossia il mondo politico, doveva insegnare al Paese reale, cioè ai membri della società civile a comportarsi da perfetti cittadini italiani. Naturalmente, il tutto,
secondo le diverse sfumature ideologiche
relative al tipo di "insegnamento" impartito e al modello di cittadino "opzionato" ( liberale post-unitario, sindacalista, nazionalista, fascista, democristiano, ma anche - se non soprattutto - azionista col monocolo, socialista, prima e seconda maniera e
comunista nazionalpopolare). Tesi fondamentale, ripetiamo, che Orsina sviluppa molto bene a proposito delle
vicende politiche del Cavaliere, vero profeta (poi disarmato e disarmatosi) della società civile "che lavora" e non allunga la mano per ricevere alcunché dallo stato (anche se in effetti la "carne" italiana, da sempre, rimane debole...). Un atteggiamento collettivo, alla chi fa da sé fa per tre, che viene scandagliato anche in altri saggi, ad esempio quelli di Parlato sul
Movimento sociale e soprattutto di Bonfreschi sul fenomeno leghista.
Cosa volevamo dire, in buona sostanza? Che una tesi, a nostro avviso abbastanza fondata (quella
di un’Italia liberale senza saperlo, nel senso di una voglia di fare da sé,
senza busti di gesso politici), andava raccordata e verificata saggio per saggio: cercando di
capire e spiegare come si ponevano
democristiani di destra, liberali,
monarchici, missini, eccetera davanti a un’Italia smithiana ( o potenzialmente
tale), che non si aspettava nulla dalla benevolenza del macellaio, del birraio
e soprattutto dai poteri statali (anche se talvolta, è vero, in modo ambiguo...). Non è una questione - o almeno non solo - di
guerra al professionismo politico e di atavico qualunquismo. Ma, come dire,
di antropologia politica. Si trattava, prima, di individuare concettualmente il basso continuo
smithiano che ha animato e anima il “Paese reale” (cosa che Orsina fa). Dopo di
che, in base ai diversi livelli di “autonomia”
attribuiti alla “società civile”, si dovevano scoprire ed evidenziare, saggio per saggio (aspetti euristici che Orsina, come
curatore, forse doveva veicolare meglio), le consonanze e dissonanze tra la “società civile”e l'universo ideologico-politico (teoria e prassi) delle “destre plurali”. Altrimenti - ecco la cartina tornasole - la ricostruzione, pur brillante per certi versi, fatta da
Capozzi, della
polemica antipartitocratica rischia di diventare l’ennesimo tassello in stile azionista per tratteggiare l' asfittica storia di una
Paese reale immaturo che stupidamente avrebbe sempre cercato di bigiare
la scuola del Paese legale.
Insomma, in estrema sintesi, quando si fa storia delle destre (d’accordissimo sulla
pluralità), regola numero uno: evitare l'uso, talvolta anche inconsapevole (il che non è sempre facile), del catechismo azionista applicato alla scienza storiografica; regola numero due:
controllare che la tesi, di cui sopra, venga in qualche modo recepita (anche
per contrasto) da tutti i collaboratori. Che poi la destra berlusconiana, pur ponendo il problema, abbia
fallito, come giustamente nota Orsina, ormai
è questione più storica che
epistemologica (nel senso appena ricordato).
Parliamo di un approccio che resta utile - cosa che comunque non sembra sfuggire neppure a Giovanni Orsina - per capire come sul piano delle assonanze “pedagogistiche” certa sinistra di ieri e di oggi sia più vicina per forma mentis alla destra missina e post, piuttosto che a una destra liberale, contraria a qualsiasi tipo di catechismo. Qui però si apre un’altra questione storiografica (e politica): se c’è una destra liberale smithiana esiste anche una sinistra liberale, parasocialista E probabilmente anche un centro che ondeggia tra gli uni e gli altri E di riflesso, tre posizioni differenti nei riguardi della pedagogia (politica) applicata agli italiani smithiani (magari senza saperlo…). Quindi, destre plurali, dentro e fuori… Italiani, se ci si passa l'espressione, liberali, ma ignari di esserlo. Insomma, un lavoro duro e complicato… E non solo sul piano storiografico. Perciò non invidiamo gli storici e neppure i politici.
Comunque sia, grazie ancora a Giovanni Orsina per aver messo a disposizione della comunità scientifica un volume importante e degno di essere letto, studiato e commentato. Come qui, molto modestamente, abbiamo tentato di fare.
Parliamo di un approccio che resta utile - cosa che comunque non sembra sfuggire neppure a Giovanni Orsina - per capire come sul piano delle assonanze “pedagogistiche” certa sinistra di ieri e di oggi sia più vicina per forma mentis alla destra missina e post, piuttosto che a una destra liberale, contraria a qualsiasi tipo di catechismo. Qui però si apre un’altra questione storiografica (e politica): se c’è una destra liberale smithiana esiste anche una sinistra liberale, parasocialista E probabilmente anche un centro che ondeggia tra gli uni e gli altri E di riflesso, tre posizioni differenti nei riguardi della pedagogia (politica) applicata agli italiani smithiani (magari senza saperlo…). Quindi, destre plurali, dentro e fuori… Italiani, se ci si passa l'espressione, liberali, ma ignari di esserlo. Insomma, un lavoro duro e complicato… E non solo sul piano storiografico. Perciò non invidiamo gli storici e neppure i politici.
Comunque sia, grazie ancora a Giovanni Orsina per aver messo a disposizione della comunità scientifica un volume importante e degno di essere letto, studiato e commentato. Come qui, molto modestamente, abbiamo tentato di fare.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento