Alberto Bagnai, l’economia tra sogni e bisogni
E Pippo Pippo non lo sa...
Sul sito di un
intelligente economista, Alberto Bagnai, che sembra andare per la maggiore tra i contestatori
dell’Euro, abbiamo letto:
L’economia esiste
perché esiste lo scambio, ogni scambio presuppone l’esistenza di due parti, con
interessi contrapposti: l’acquirente vuole spendere di meno, il venditore vuole
guadagnare di più. Molte analisi dimenticano questo dato essenziale. Per contribuire
a una lettura più equilibrata della realtà abbiamo aperto questo blog, ispirato
al noto pensiero di Pippo: è strano come una discesa vista dal basso somigli a una salita”.
Una verità semplice, ma dalle applicazioni non banali.... ( http://goofynomics.blogspot.it/ )
Ora, Pareto, non avrebbe
condiviso una definizione del genere, o comunque l’avrebbe giudicata parziale. E diciamo questo, non per sollevare il classico argumentum ab auctoritate. Anche per rispetto verso il buon Vilfredo, maestro di autoironia, oltre che degustatore di preziosi vinelli e "gattaro" ante litteram... E allora perché? Ci spieghiamo subito.
Se parliamo dell’economia come scienza (riflessione sugli atti economici), lo scambio è un momento fondamentale del processo economico, basato "manualisticamente" sulla produzione, lo scambio e la distribuzione dei beni.
Se parliamo dell’economia come scienza (riflessione sugli atti economici), lo scambio è un momento fondamentale del processo economico, basato "manualisticamente" sulla produzione, lo scambio e la distribuzione dei beni.
Se invece parliamo dell’economia come realtà (come insieme, di
fatto, degli atti economici), lo scambio (come la produzione e la distribuzione) è un momento
successivo… A che cosa? Al bisogno, economicamente dato ma sociologicamente interpretabile.
Una constatazione che spinse
Pareto ad andare oltre l’
approccio puramente economico, da lui giudicato riduttivo, e inerpicarsi per gli aspri sentieri della sociologia. E quindi a interpretare lo scambio non
solo come un fenomeno frutto di azioni
logiche, quantificabili, bensì come un atto dettato dal bisogno, di regola, (superata
la soglia del minimum biologico), frutto
di moventi non logici, qualitativi. Attenzione, non logici, rispetto a chi
osservi, e non dell’osservato, il quale, invece, cercherà sempre, ingegnandosi, di dare una qualche forma logica (o meglio
pseudologica dal punto di vista
socio-logico) alle sue azioni.
Insomma, limitarsi a studiare
lo scambio, se può essere corretto dal punto
di vista della teoria economica ( o se si preferisce della “cassetta
degli attrezzi” dell’economista di professione), non lo è da quello
sociologico: punto di vista più ampio ( se si vuole l'inglobante) rispetto a quello economico.
Per fare un esempio, in
tempi di crisi, gli economisti si dividono sempre tra coloro che vogliono
accrescere il volume degli scambi e coloro che vogliono ridurlo (semplificando: tra mercatisti e autarchici). Chi ha ragione? Rovesciando la tesi di Pareto in argomento: ex ante,
a parole, ambedue le scuole, dal momento
che si parla di un massimo di utilità
per una società (qualcosa che viene fissato quantitativamente dall’esterno, ricorrendo ad esempio
alle variabili econometriche); ex post, dipende, invece, dalla scuola
di pensiero che, in termini sociologici (quindi qualitativi, fissati dall'interno) sia
riuscita a prevedere i giusti margini di flessibilità rispetto ai bisogni in termini di utilità di una società, cioè di
un qualcosa di economicamente e culturalmente (insieme) sopportabile .
Sappiamo benissimo di (ri-)sollevare una questione di Methodenstreit, che risale alla seconda metà dell'Ottocento... mai completamente risolta. Molto tedesca (quando si dice, corsi e ricorsi...). Però crediamo che nella “mente” dell’economista-sociologo, così come qui tratteggiato partendo da Pareto, il logico debba farsi non logico, per poi
tornare logico. In che modo? Cercando di comprendere, ripetiamo, quanto una società possa sopportare
sociologicamente, in termini di bisogni, culturalmente determinati, la chiusura
o l’ apertura al mercato. E come, tecnicamente? Ad esempio, usando gli
strumenti della teoria della scelta pubblica, mescolandoli, prima però, con quelli dei teoria socioculturale
sorokiniana dei bisogni.
Perciò ripetiamo, l’economia
esiste, perché esiste il bisogno. Insomma, bisogni e non sogni. Purtroppo. E tutto questo Pippo sembra non saperlo...
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento