Ipotesi
Lavorare meno, lavorare tutti? O non lavorare affatto? O lavorare troppo?
.Lavorare meno, lavorare tutti? O non lavorare affatto? O lavorare troppo?
Capitalismo e società del non lavoro
Partiamo dalla possibilità di realizzare una società del non lavoro all’interno del quadro economico e sociale capitalistico, segnato dalla continua innovazione tecnologica. Strada, sia detto subito, non facilmente praticabile.
Innanzitutto sarebbe assai ingenuo puntare sul ruolo salvifico del progresso
tecnologico. Dal momento che i processi di innovazione non sono qualcosa di
socialmente neutrale. Perché, di regola, vengono gestiti all’interno del quadro
di rapporti gerarchici e di potere esistenti, di cui riproducono le
stratificazioni. Pertanto l’uso sociale dell’innovazione tecnologica resta
ancorato ai rapporti di classe, o di ceto, per usare in terminologia più soft.
Senza poi considerare il fatto che il capitalismo per riprodursi ha necessità
di tassi elevati di crescita ( e non di decrescita…).
Di conseguenza nel capitalismo l’innovazione tecnologica, per un verso è usata
dalle élite dominanti per ridurre i costi; per l’altro viene “spalmata” sulle
esistenti gerarchie sociali, nonché collegata alle esigenze di continuità del
sistema. In buona sostanza, l’obiettivo è quello di tagliare le spese per il
fattore lavoro, ma senza provocare consistenti mutamenti e/o sommovimenti
sociali ed economici. Insomma, anche se in camice bianco e seduti davanti allo
schermo di un computer si resta operai, condannati a lavori ripetitivi e spesso
poco retribuiti. Quanto alla gestione della manodopera, il “sistema” può
ricorrere, come già sta avvenendo, a un mix di flessibilità, allungamento
dell'età pensionabile, immigrazione, delocalizzazione, welfare minimale,
sorveglianza sociale e consumismo. Legando così, a scopi di controllo sociale,
il produttivismo al divertentismo a buon mercato, se ci si passa l'espressione.
Si tratta di un meccanismo imperfetto, moralmente discusso e discutibile, che
tuttavia funziona. E che nelle sue linee pratiche, anche se criticato dagli
intellettuali anticapitalisti, resta gradito - piaccia o meno - alla
maggioranza della gente comune in Occidente e invidiato o ambito nel resto del
mondo. Non è sicuramente la quadratura del cerchio, ma vi si avvicina...
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Socialismo e società
del non lavoro
Secondo altri la società del non lavoro potrebbe tuttora nascere in un quadro economico e sociale completamente diverso: di gestione socialista dell’innovazione tecnologica. Tuttavia anche in tale circostanza, resterebbe sempre la questione che l’uso sociale della scienza, anche se rivolto al progresso tecnologico disinteressato, implica sempre al suo interno lo sviluppo di gerarchie di scienziati, esperti ed organizzatori: uomini che continuerebbero, oggettivamente, a comportarsi come membri di una casta.
Decrescita e società del non lavoro
Secondo altri ancora, una terza possibilità di società del non lavoro, potrebbe essere rappresentata dalla rinuncia a ogni tecnologia come a ogni bisogno di tipo consumistico: una società della decrescita.
Una scelta del genere però imporrebbe non solo una profonda rivoluzione
culturale in chiave anti-materialistica (dalle "modalità" sociali
tutte da scoprire...), ma anche la necessità di produrre comunque mezzi
economici e militari per fronteggiare le restanti società del lavoro. Le quali
non vedrebbero sicuramente di buon occhio, nel quadro di un capitalismo
mondiale ancora dominante, una società che scegliesse volontariamente la
decrescita, violando l’ “alleanza” capitalistica de mercati. Certo, va
giustamente presa in considerazione anche l'ipotesi di una simultanea conversione alla decrescita
e al non lavoro di tutte le società. Ma in che modo? Anche qui le
"modalità" sociali sarebbero tutte da scoprire... Pacificamente? Le
rivoluzioni, anche se permanenti, non sono mai indolori. E la decrescita -
ripetiamo - includerebbe anche quella delle forze armate e dell'industria
pesante? Come riuscire a far quadrare il cerchio ?
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Concludendo...
Per non complicare le cose abbiamo lasciato fuori dalle nostre riflessioni la questione del rapporto tra religione e politica a proposito, ad esempio, delle varie dottrine sociali; questione che avrebbe condotto troppo lontano.
Come si può notare, i problemi non sono pochi e facilmente risolvibili. Certo, resta sempre la possibilità del "cataclisma" sociale, che alcuni avventurieri delle idee addirittura auspicano. Ma da una società "post-catastrofe", basata sul ritorno all'autodifesa, sulla paura vera, e distinta dall'uso della forza allo stato puro, che tipo di sistema economico e sociale potrebbe nascere?
Carlo Gambescia
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