martedì 30 dicembre 2014

Ipotesi
Lavorare meno, lavorare tutti? O non lavorare affatto? O lavorare troppo? 
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Capitalismo e società del non lavoro


Partiamo dalla possibilità di realizzare una società del non lavoro all’interno del quadro economico e sociale capitalistico, segnato dalla continua innovazione tecnologica. Strada, sia detto subito, non facilmente praticabile.

Innanzitutto sarebbe assai ingenuo puntare sul ruolo salvifico del progresso tecnologico. Dal momento che i processi di innovazione non sono qualcosa di socialmente neutrale. Perché, di regola, vengono gestiti all’interno del quadro di rapporti gerarchici e di potere esistenti, di cui riproducono le stratificazioni. Pertanto l’uso sociale dell’innovazione tecnologica resta ancorato ai rapporti di classe, o di ceto, per usare in terminologia più soft. Senza poi considerare il fatto che il capitalismo per riprodursi ha necessità di tassi elevati di crescita ( e non di decrescita…).

Di conseguenza nel capitalismo l’innovazione tecnologica, per un verso è usata dalle élite dominanti per ridurre i costi; per l’altro viene “spalmata” sulle esistenti gerarchie sociali, nonché collegata alle esigenze di continuità del sistema. In buona sostanza, l’obiettivo è quello di tagliare le spese per il fattore lavoro, ma senza provocare consistenti mutamenti e/o sommovimenti sociali ed economici. Insomma, anche se in camice bianco e seduti davanti allo schermo di un computer si resta operai, condannati a lavori ripetitivi e spesso poco retribuiti. Quanto alla gestione della manodopera, il “sistema” può ricorrere, come già sta avvenendo, a un mix di flessibilità, allungamento dell'età pensionabile, immigrazione, delocalizzazione, welfare minimale, sorveglianza sociale e consumismo. Legando così, a scopi di controllo sociale, il produttivismo al divertentismo a buon mercato, se ci si passa l'espressione. Si tratta di un meccanismo imperfetto, moralmente discusso e discutibile, che tuttavia funziona. E che nelle sue linee pratiche, anche se criticato dagli intellettuali anticapitalisti, resta gradito - piaccia o meno - alla maggioranza della gente comune in Occidente e invidiato o ambito nel resto del mondo. Non è sicuramente la quadratura del cerchio, ma vi si avvicina...
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Socialismo e società del non lavoro

Secondo altri la società del non lavoro potrebbe tuttora nascere in un quadro economico e sociale completamente diverso: di gestione socialista dell’innovazione tecnologica. Tuttavia anche in tale circostanza, resterebbe sempre la questione che l’uso sociale della scienza, anche se rivolto al progresso tecnologico disinteressato, implica sempre al suo interno lo sviluppo di gerarchie di scienziati, esperti ed organizzatori: uomini che continuerebbero, oggettivamente, a comportarsi come membri di una casta.
Di conseguenza il punto "sociologico" della questione è che ogni specializzazione rinvia a una gerarchia di dipendenze esterne ed interne al gruppo sociale che la gestisce: una società più è articolata, più si regge su una stratificazione sociale complessa. Che, a sua volta, si compone di numerosi gruppi ed élite, poste ai vari livelli della scala sociale delle professioni. Gruppi ed élite con i quali anche in una società socialista in transizione verso forme comuniste, il potere politico (la élite delle élite, che tende sempre a ricostituirsi) non potrebbe non contrastarsi al suo interno. A che scopo? Ma per individuare il giusto mix di socialismo e produttivismo: una miscela, come mostra la tragica storia del comunismo novecentesco, non sempre facile da “scoprire”, soprattutto in una società che si voglia pretenda fondata non sul profitto ma sulla liberazione dal bisogno. Una società che perciò non potrebbe rinunciare, proprio per lo scopo titanico che si propone, a buone basi di crescita economica. Le cui modalità, come è noto, implicano però divisione del lavoro e forme, anche larvate, di profitto e di redistribuzione del medesimo. Per farla breve: una impossibile quadratura del cerchio…

Decrescita e società del non lavoro


Secondo altri ancora, una terza possibilità di società del non lavoro, potrebbe essere rappresentata dalla rinuncia a ogni tecnologia come a ogni bisogno di tipo consumistico: una società della decrescita.

Una scelta del genere però imporrebbe non solo una profonda rivoluzione culturale in chiave anti-materialistica (dalle "modalità" sociali tutte da scoprire...), ma anche la necessità di produrre comunque mezzi economici e militari per fronteggiare le restanti società del lavoro. Le quali non vedrebbero sicuramente di buon occhio, nel quadro di un capitalismo mondiale ancora dominante, una società che scegliesse volontariamente la decrescita, violando l’ “alleanza” capitalistica de mercati. Certo, va giustamente presa in considerazione anche l'ipotesi di una simultanea conversione alla decrescita e al non lavoro di tutte le società. Ma in che modo? Anche qui le "modalità" sociali sarebbero tutte da scoprire... Pacificamente? Le rivoluzioni, anche se permanenti, non sono mai indolori. E la decrescita - ripetiamo - includerebbe anche quella delle forze armate e dell'industria pesante? Come riuscire a far quadrare il cerchio ?

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Concludendo...

Per non complicare le cose abbiamo lasciato fuori dalle nostre riflessioni la questione del rapporto tra religione e politica a proposito, ad esempio, delle varie dottrine sociali; questione che avrebbe condotto troppo lontano.
Ci limitiamo, infine, a porre alcune domande sul problema della rappresentanza o forma politica: liberalismo e democrazia parlamentare sono conciliabili con la società del non lavoro e della decrescita? La società del non lavoro e della decrescita si accorda con il socialismo? Liberalismo e socialismo sono conciliabili con la critica all'idea di sviluppo? Oppure no? Esiste un liberalismo sobrio, privo di ricadute consumiste e mercatiste ? Esiste un socialismo non materialista e antiburocratico.
Come si può notare, i problemi non sono pochi e facilmente risolvibili. Certo, resta sempre la possibilità del "cataclisma" sociale, che alcuni avventurieri delle idee addirittura auspicano. Ma da una società "post-catastrofe", basata sul ritorno all'autodifesa, sulla paura vera, e distinta dall'uso della forza allo stato puro, che tipo di sistema economico e sociale potrebbe nascere?


Carlo Gambescia 

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