giovedì 18 dicembre 2014

Il libro della settimana: Gary B. Gorton, Perché non vediamo le crisi,  pref. ed. it. di Paolo Mottura, Franco Angeli, 2014, pp. 288, Euro 33,00. 


http://www.francoangeli.it/Ricerca/scheda_libro.aspx?CodiceLibro=1420.1.163


Finalmente un libro che non delude  sulle ragioni profonde della crisi economica:  Perché non vediamo le crisi (Franco Angeli). Scritto da Gary B. Norton, già consulente della Federal Reserve e professore di Management e Finance  presso la Yale School of Management. A dire il vero, si tratta di  un volume molto ricco, perché non parla solo dell'oggi , dal momento che  offre  almeno tre  piani  di lettura.
Il primo, “generalista”,  più vicino agli  interessi  del  lettore medio, curioso di capire le ragioni  del  terremoto economico. Il secondo, metodologico, rivolto agli economisti, che stuzzicati dal titolo, vogliano mettersi in discussione. Il terzo,   invita a riflettere, e criticamente,  sulle spiegazioni facili-facili della crisi ( e delle crisi) avanzate  da giornalisti e attivisti politici.  Procediamo per gradi.
Quali ne sono le cause?  Le banche, di regola,  producono debito a breve termine per finanziare l’economia; debito che viene garantito attraverso  l’emissione di “collaterale”, ossia  titoli di vario genere.  Però, ecco il punto,  non  può esistere collaterale senza rischi. Di qui, la vulnerabilità del debito bancario, sul quale pende ( e penderà)  sempre  la spada damoclea  del dubbio ciclico  del  depositante sulla qualità del collaterale. Insomma,  una crisi finanziaria, osserva Gorton,  “nella sua forma più pura è una fuga dal debito bancario, una corsa agli sportelli o ai riscatti”.  Si tratta di “un problema connaturato nelle economie di mercato”(p. 35). Concludendo,  e per venire all'oggi,  la crisi  è scoppiata perché, le banche hanno emesso troppo collaterale di rischio, favorite - altro nodo -  da  una  politica (si parla degli Stati Uniti) tesa a  finanziare lo sviluppo attraverso l’offerta (borsa, detassazione, prestiti facili) e non mediante  la domanda (investimenti pubblici e redistribuzione del reddito). Dopo di che,  la crisi finanziaria,  estendendosi ad altri settori,  si è fatta "sistemica", con quei  risultati  che ora sono sotto gli occhi di tutti.  
Per quale ragione è divampata  nel 2007 e non prima?  Perché 1) il collaterale aveva superato i valori reali, grazie anche al combinato disposto 2) tra  tecnologie procedurali e informatiche, rispettivamente  sempre più rischiose e  veloci.  A tale proposito, Norton, definisce  il periodo precedente alla grande burrasca, tra il 1934 e il 2007,  come   il “Periodo  di calma” della “Grande moderazione” : “idea basata -  osserva - sulla constatazione che a partire dagli anni Ottanta la volatilità dell’attività economica aggregata aveva subito un marcato declino nella maggior parte del mondo industrializzato”. Il che era spiegato “con l’assenza di crisi finanziarie o di ondate di panico”. Tuttavia, conclude Norton, “la grande moderazione (…) abbraccia un periodo storico piuttosto breve; in un’ottica di lungo periodo, gli episodi di panico bancario sono la norma. A quanto pare gli economisti erano implicitamente convinti che appartenessero al passato” (p. 30).
Quest’ultima osservazione,  conduce  alla seconda pista (“Perché, gli economisti, non hanno visto la crisi”). Gorton qui colpisce duro. Parla di una disciplina - l’economia - che  non studia più la storia. All’argomento dedica un capitolo memorabile (il Settimo: “L’astoricismo della teoria economica”, pp. 114-125). Per quale motivo  Clio è  finita in soffitta?  In primo luogo, perché i dati più precisi su fondamentali economici risalgono, grosso modo, alla seconda metà del Novecento. In realtà, “ non è che gli economisti abbiano volutamente ignorato  le crisi; il problema piuttosto  è che hanno studiato prevalentemente  il Periodo di calma, perché lo consideravano la fase storica più rilevante e soprattutto perché coprendo un arco temporale  molto recente forniva loro  la maggiore quantità di dati”.  Sicché sembrava che  “sarebbe durato per sempre; quando poi la crisi si è palesata, gli economisti hanno proposto spiegazioni superficiali, dimostrando una scarsa conoscenza storica  e istituzionale e concentrandosi sugli aspetti esteriori della crisi” (p. 114).
In secondo luogo, all’oblio della storia si è affiancata una disdicevole pigrizia cognitiva: Oggi “gli economisti, si concentrano solo su alcuni stadi di questo processo [di produzione del sapere economico] e non su altri: in genere si dedicano soprattutto a produrre modelli, e raramente possiedono l’Esperienza diretta che si acquisisce lavorando al servizio di un’impresa privata o della pubblica amministrazione” (p. 114).  E quando si parla di “modelli” ci si riferisce alla eccessiva “matematizzazione” della disciplina. E qui Gorton  cita Deirdre McCloskey (economista che consigliamo di leggere): “Dopo quaranta anni di investimenti nella matematizzazione dell’economia, per gli economisti è diventato meno accettabile ammettere la propria ignoranza in matematica che riconoscere di non sapere la storia” (p. 123).
L’ultima pista concerne le spiegazioni facili-facili della crisi ( e delle crisi)  fornite da attivisti politici e non pochi giornalisti. Tradotto: dai complottisti un tanto al chilo.  All’argomento, Gorton  dedica un ghiotto capitolo (il Dodicesimo: “Ricchi banchieri, costo delle crisi e il paradosso delle crisi finanziarie”, pp. 192-208). Qual è la sua spiegazione? “L’idea che il debito bancario soffra di un problema strutturale è irrilevante per quanti vanno a caccia  di specifici colpevoli. Dopo una crisi non è possibile vendicarsi del sistema, o quanto meno in passato questo non è mai accaduto. Il capitalismo è un sistema nel quale milioni di persone prendono decisioni sulla base dei prezzi e dei propri vincoli di bilancio, e innovano, provocando il cambiamento; l’attività bancaria si distingue unicamente per il fatto di essere calata all’interno di uno specifico contesto normativo. Dopo l’introduzione dell’assicurazione dei depositi è iniziato il Periodo di calma, poi il sistema bancario è cambiato ed è riemerso un vecchio problema. Le crisi scaturiscono da debolezze strutturali. (…) . A ben vedere, l’idea che le crisi finanziarie sistemiche che si sono susseguite  nella storia delle economie di mercato siano state causate dalle azioni criminali di un manipolo di persone è semplicemente ridicola. Il sistema si evolve nel tempo in conseguenza delle decisioni di milioni di persone. Quello che ci si chiede,  in realtà, è chi sia responsabile dell’esistenza del capitalismo” (p. 195). 
Bella domanda, tra l'altro molto importante perché collegata ai profili normativi, insomma alle regole per prevenire, punire, emendare. Che pure servono.  Però, se sono -  come sono -  in milioni a decidere, sarà difficile trovare una risposta.   Per dirla brutalmente: tutti colpevoli o tutti innocenti… Oppure, alcuni sono più uguali degli altri?  O, invece,  come scriveva  Poggio Bracciolini, più di sei secoli fa,  nel  De Avaritia, gli uomini  sono tutti uguali nel non accontentarsi mai di quel che hanno. Vogliono progredire. Sempre. Il che può essere fonte di bene come di male. Osservazione, ahinoi, che  ci riporta al    quesito di Gorton…    

Carlo Gambescia        

        

2 commenti:

  1. Buongiorno Carlo,
    seguo sempre il tuo blog con attenzione, anche se ahimè non ho letto i libri dove esponi i fondamentali della metapolitica, in ogni caso vengo all'articolo sopra menzionato. Mi chiedo, a partire dalla tua presentazione, perché il libro non l'ho letto: ma serviva veramente un altro libro per dire quello che è già stato ripetuto in molte foggie! Ok, se il libro è per accademici, ci sto -studiate più la storia economica e perdetevi meno dietro a indici e matematismi! Ergo, per noi: comprendete di più le dinamiche sociale sottese ai meccanismi delle società umane, almeno non fate finta che non esistano e quindi cercate di decidere con questa consapevolezza (metapolitica?) !.
    Registrata questa esortazione verso gli studiosi, che ormai da più parte si fa largo positivamente, mi chiedo veramente se l'analisi che hai sommariamente sintetizzato non sia un po' timida; mi sembra di riscontrare spesso in economisti accademici analisi precise e brillanti, ma alcuna possibilità di tratteggiare delle linee con le quali riformare il sistema economico. Eppure la storia dell'uomo è caratterizzata da innovazioni, da riforme che, stringi stringi, sono prese da un pugno di uomini, vogliamo escludere che per i sistemi bancari e monetari, o per l' economie del debito non ci possa attendere alcun momento del genere. Se l'uomo vuole svilupparsi, e non solo progredire, dovrà pure districare qualche matassa, se no i colpi arrivano per i passi in avanti avventati.
    Poi che tali riforme siano realizzate stentatamente, o con tenace e limpida volontà, o che siano prezzo di mille compromessi politici fra le forze in campo, per carità!, tutto accettabile da chi vuol coltivare un sano realismo e non farsi illusioni, ma da un grande pensiero io voglio vedere respiro e non analisi traccheggianti il già plumbeo sistema economico, almeno non mi si venga a dire che la confusione attuale è ciò che di meglio l'uomo può sperare, la speranza guarda sempre a ciò che deve ancora incarnarsi. Per carità, non saremo anglosassoni come il prof. Gorton, che sicuramente tiene i piedi ben piantati per terra, visto che ha collaborato con istituzioni importanti e ha un ruolo sociale riconosciuto, ma essere un pochettino scomodi nel pensiero, magari con garbo, potrebbe anche far bene alle menti assetate di oggigiorno.
    Scusate se sono stato un po' involuto nello spiegarmi ma: avarizia connaturale all'uomo, inevitabilità del debito a breve per finanziare investimenti, esagerazione dei valori dovuto agli scambi telematici internet...mi sembrano tutte mezze risposte che alla fine incolpano tutti e nessuno.
    Ancora grazie per lo spazio che mi avete concesso.

    Un saluto cordiale a tutti gli affezionati di questo spazio di riflessione, a cui vado molto debitore e a coloro che contribuiscono con la loro passione ad arricchirlo.

    Cordialmente

    Samuele

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  2. Grazie Samuele (Satiricus, credo) per il tempo che mi ha dedicato.
    Non è un libro anticapitalista, come ha ben capito. Tuttavia, pur nei suoi limiti (per qualcuno) è un libro interessante, chiaro, ben scritto (o ben tradotto…) che si pone dal punto di vista delle dinamiche strutturali e storiche, infrasistemiche, piuttosto che individuali e interazionali a sfondo antisistemico. Non dice nulla di nuovo? Dipende, da quanti economisti si siano conosciuti ( o letti, non solo in argomento), nonché da cosa si pensi, ripeto, del capitalismo.
    Scomodità? Menti assetate… Mah… Non nego l’importanza del non conformismo (sempre che non se ne faccia una professione). Tuttavia, per riconoscere, bisogna conoscere. E per rifiutare, si deve riconoscere e conoscere… E nel giro dei profeti armati e disarmati vedo solo tanta, troppa confusione e superficialità.
    Grazie ancora per l’interessante e garbato commento.

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