Suicidi di Stato?
Se un operaio, un
imprenditore, un commerciante, un disoccupato si suicidano a causa della crisi
economica, è colpa dello Stato? Si può parlare di “suicidi di Stato”? E nel
senso di un preciso rapporto tra causa ed effetto?
Le nostre domande
prendono spunto dalla seguente notizia: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2013/05/02/Operaio-licenziato-suicida-famiglia-colpa-Stato_8645867.html .
Ora, la perdita di
una vita umana è un fatto doloroso e gravissimo. Ed è inevitabile e
perfettamente comprensibile che la famiglia del suicida si interroghi sulle
ragioni di una morte, cercando spiegazioni più o meno plausibili. Tra le quali
quella di un Stato che con la sua inazione causerebbe il “gesto estremo” del
cittadino disperato perché privo di lavoro e mezzi economici.
Ridotta all’osso, la
tesi si fonda su una concezione dello Stato come grande famiglia, dove
un padre non può non occuparsi del benessere di tutti i suoi figli.
Di riflesso, solo il cattivo padre, può permettere che
i figli si tolgano la vita perché privi di quelle risorse che
dallo stesso padre devono discendere...
Il problema è che -
per usare, visto che siamo in tema, una metafora arcaica - il Padre-Stato
che si invoca negli anni delle vacche magre, non sempre viene apprezzato dal
Cittadino-Figlio quando nei periodi delle vacche grasse continua a
pretendere obbedienza, ficcando il naso nelle
vicende economiche dei privati cittadini.
Diciamo allora che
certi atteggiamenti, come dire, anticonservativi, che talvolta possono sfociare
anche in gravi attentati (come domenica scorsa davanti a Palazzo
Chigi), rappresentano sotto l'aspetto sociologico una certa società
italiana, fortunatamente non tutta, che non vuole crescere. Detto
brutalmente: che non aspira alla
maggiore età. Un' Italia che non vuole uscire
dalla casa del padre. Dispiace dirlo: un'Italia di figli indisciplinati,
di suicidi, attentatori, evasori.
Secondo alcuni, per necessità, considerata l'opprimente
pressione fiscale. Di regola, tuttavia, chi
evade non si suicida.
Si dirà: ma lo Stato
ha il dovere di intervenire, eccetera, eccetera. Giusto. Tuttavia, ogni
intervento economico pubblico ha un costo, che nel tempo si fa progressivo e
sempre più pesante. Cosicché una volta accettata la paterna protezione dello
Stato al cittadino non resta che il dovere di obbedire. Anche quando,
nonostante gli “affari vadano bene”, i costi per la
protezione sociale, come mostrano le statistiche, continuano a
crescere in misura esponenziale e proibitiva per le sue tasche.
Insomma,
radicalizzando i concetti, delle due l’una: o si accetta una visione
paternalistica, pagandone le conseguenze in termini di libertà , dal
momento che ogni euro in più di tasse versato allo stato
è un euro in meno di libertà, o si cresce, accettando i rischi di
minore protezione sociale e di dover pagare, da adulti, tutti i propri i conti
e debiti, anche i più ingiusti. Compreso quello supremo
verso la vita.
Carlo Gambescia -
Nessun commento:
Posta un commento