La prendiamo da
lontano. Quindi chiediamo ai nostri lettori un briciolo di pazienza.
Le democrazie
liberali hanno il loro punto di forza nel relativismo politico-culturale. Dare
la parola a tutti e favorire, anche sul piano dei diritti, le diverse minoranze
è un importante strumento di democrazia. Per contro, dove invece predominano
maggioranze dispotiche non si può parlare di democrazia.
C’è però una controindicazione.
Se il relativismo - semplificando: la tua e la mia idea hanno pari valore e
diritti - viene spinto oltre un certo limite può trasformarsi in elemento di
debolezza. Per funzionare bene il relativismo necessita di una forte
coesione politica e sociale. Parliamo in particolare di un
"sentimento" di
responsabilità; una "sensibilità" diffusa
e perciò condivisa da tutti: dalle maggioranze come dalle
minoranze politiche, sociali, economiche, culturali.
Cosa intendiamo
dire? Che ogni gruppo sociale deve essere consapevole dei propri valori, mezzi
e meriti in rapporto a tutti gli altri gruppi. E di conseguenza
assolutamente cosciente di alcuni limiti insuperabili, pena il
dissolvimento sociale. Pertanto, ogni buon relativismo non può non essere
fondato trasversalmente sull’autodisciplina dei diversi gruppi
sociali. Certo, nella pratica, le cose possono seguire
un andamento diverso, se non opposto. Il buon senso
non si costruisce stando alla scrivania... La maturità sociale
è conquista difficile perché di natura pratica. Ad esempio,
Durkheim, fondatore della moderna sociologia e padre di una notevole
teoria sull’autodisciplina gruppi sociali, visse politicamente inascoltato
nella Francia della Terza Repubblica, spezzata politicamente in due blocchi
contrapposti - si pensi al caso Dreyfus - e quindi ben lontana da quell’idem sentire de re publica, che deve
sostanziare il buon relativismo.
Sotto questo profilo
la “megamacchina dei diritti”, nel senso di un meccanismo sociale
automatico dove basta inserire un gettone per avere diritto a qualcosa,
rappresenta forse il più importante tentativo di conciliazione tra unità e
diversità. Parliamo di un meccanismo, oggi predominante, che punta sulla
concessione - ma in realtà sempre più “creazione” autoriproduttiva -
di uguali diritti, estesi a tutti cittadini. Funziona? Dipende. E qui
veniamo al punto.
Questo
meccanismo, se lasciato libero di svilupparsi, può
produrre, come nel caso del matrimonio gay ( e corollari nell'ambito delle
adozioni), fratture sociali difficilmente ricomponibili.
Di solito, coloro
che magnificano la “megamacchina dei diritti” invocano il suo essere al
servizio di un progresso, genialmente favorito da una repubblica illuminata. In
questo modo si vuole puntellare dall'esterno il relativismo,
introducendo un fattore assoluto. Il vero
problema è che però il concetto di progresso non
può essere interpretato in maniera univoca. Non esiste una
“versione unica” circa "le sorti progressive
dell'umanità". Da molti, infatti, il matrimonio gay
viene giudicato una forma di regresso e penalizzazione sociale della
famiglia. Di qui, i conflitti incomponibili, spesso violenti,
nonostante, o meglio grazie all'inarrestabile
"motorizzazione" di un diritto oggettivo, costitutivamente incapace
di dire no a qualsiasi nuovo e presunto diritto soggettivo.
Concludendo, servono
freni sociali, ovviamente non imposti. Occorrono, insomma, senso della misura
nei politici e autodisciplina sociale nei cittadini: capire fin dove ci si può
spingere. Evitando, si capisce,
di scaricare la "produzione"
della coesione sociale su una megamacchina che pretende
di unificare e livellare le coscienze distribuendo diritti
à la carte.
Serve, ripetiamo, senso del limite: valore tipicamente umano, anche
se difficile da acquisire e "stabilizzare". Del resto
quali alternative? Dal momento che il relativismo privo di
confini o basato su pseudo-limiti, come nel caso dell'idea di
progresso, si trasforma inevitabilmente nella guerra
autodistruttiva di tutti contro tutti?
Purtroppo, la
“megamacchina dei diritti”, se ci si passa l'abusata metafora,
assomiglia a una gigantesca automobile lanciata a folle velocità ma priva di
freni.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento