Giulio Andreotti è
morto, lunga vita a Giulio
Andreotti
Su Giulio
Andreotti, è stato detto tutto e il contrario di tutto.
Quindi è difficile ricordarlo scrivendo qualcosa di originale.
Proviamoci lo stesso.
In un’intervista a
" la Repubblica" , in occasione dei suoi novant’anni, il
sette volte Presidente del Consiglio, si disse certo di salire un
giorno in Paradiso. Ma - aggiunse - “ per la bontà di Dio, non perché me
lo meriti” (*).
Il bon
mot riassume
l’ essenza dell’andreottismo. E soprattutto di certo moderatismo cattolico,
solo per fare due nomi, da Gentiloni a Casini. Sempre pronto a fare
compromessi anche con Dio (e per alcuni anche con il diavolo), pur di restare
al potere.
Si dirà, il
compromesso è l’essenza del potere, quello reale. Giustissimo. E Andreotti ha
interpretato al meglio questa tendenza. In particolare negli anni
Settanta-Ottanta del Novecento - periodo che meriterebbe un attento scavo
storico - intessendo una rete di rapporti con i più diversi centri di potere,
politici e finanziari. Pur di mantenere la Democrazia Cristiana
al governo. O comunque al centro dei giochi politici. Si pensi solo all’uscita
dal Movimento Sociale di Democrazia Nazionale. Oppure all’appoggio di
Berlinguer ai “moderatissimi” governi di “unità nazionale”. Che Moro non
riuscirà a vedere.
Probabilmente, la “centralità”
politica di Andreotti, frutto di una straordinaria capacità di
mediazione affinatasi negli anni, ha contribuito
alla nascita del “Mito-Andreotti”, tuttora
molto sentito, soprattutto fra gli elettori moderati:
dell'Andreotti artefice di una saggia politica dei piccoli
passi ( ma per alcuni microscopici). Mito ben coltivato dal "Divo
Giulio" con libri, apparizioni mediatiche e contatto diretto (anche
troppo) con gli elettori democristiani, grandi e piccoli, come mostra il
film di Sorrentino, meglio di tanti libri di storia.
Negli anni Ottanta e
Novanta Andreotti ha dovuto affrontare prima la sfida politica di Craxi, poi la
crisi di Tangentopoli e infine le imputazioni per mafia e per omicidio (dalle
quali verrà assolto in via definitiva, salvo una prescrizione). In defintiva,
Andreotti non rappresenta l’autobiografia vivente dell’italiano, ma di
un certo tipo di italiano. Per parafrasare
Malaparte: un italiano pronto a lottare, in guerra come in pace, non per non
morire, ma per sopravvivere...
Grazie alla
trasmissione ereditaria dell’idea monarchica i re, anche quando
viene meno la loro persona fisica, non muoiono mai. Il
che spiega l’evviva collettivo dei sudditi: “Il re è morto, lunga
vita al Re”.
Cosa vogliamo dire? Che solo quando scomparirà, certo andreottismo collettivo e ideologico, uscirà di scena l' Andreotti, persona fisica, di turno.
Giulio Andreotti è morto,
lunga vita a Giulio Andreotti. Anzi a Enrico Letta.Cosa vogliamo dire? Che solo quando scomparirà, certo andreottismo collettivo e ideologico, uscirà di scena l' Andreotti, persona fisica, di turno.
Carlo Gambescia
(*) http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/politica/andreotti-novantanni/andreotti-novantanni/andreotti-novantanni.html
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