I cattolici
illiberali di “Avvenire”
Oggi sulla prima
pagina di “Avvenire” campeggia un titolo sui
generis rispetto al resto dei giornali italiani. Il che
mediaticamente non è male. Ma di cosa si parla? Della
necessità di “liberare la domenica”. E da cosa? Dall’apertura dei negozi.
E in che modo? Puntando su un referendum che restituisca alle Regioni il potere
d’intervento sulle aperture domenicale degli esercizi commerciali. Ma
leggiamo:
«Liberiamo la
domenica»
Depositate 150mila
firme
Tre volte di più.
Centocinquantamila firme, depositate stamane in Parlamento, per chiedere un
referendum che restituisca alle Regioni il potere d’intervento sulle aperture
domenicali dei negozi. “Liberiamo la domenica”, la campagna di Confesercenti e
Federstrade, che ha avuto anche l’attivo sostegno della Conferenza Episcopale
Italiana, della associazioni cattoliche e del mondo sindacale, ha raggiunto in
pochi mesi un successo oltre le previsioni. A favore delle domeniche in
famiglia circa l’80% dei dipendenti del commercio, le cui testimonianze sono
confluite nel libro bianco Il profumo della domenica. Quella per le aperture
festive limitate è una firma che serve anche a restituire il valore alla
domenica, oltre che a tentare di far sopravvivere le botteghe di città. In
apertura del volume, monsignor Giancarlo Bregantini, presidente della
commissione Problemi sociali e Lavoro della Cei, ricorda infatti «il grido
delle mamme» costrette a lavorare di domenica lasciando i figli in casa e sullo
"sfondo la nostalgia per una bella Messa vissuta insieme, una bella
passeggiata carica di emozioni d’amore". La liberalizzazione degli orari
negli esercizi commerciali non ha portato i risultati sperati, spiega il
presidente di Confesercenti Marco Venturi, anzi nel 2013 "chiuderanno
42mila negozi e le famiglie, che nel 2012 hanno già speso 40 miliardi in meno,
vedranno contrarre le proprie uscite di altri 13 miliardi".
Cosa dire? Uno, che
i cattolici sono liberi di proporre titoli, campagne, petizioni e
referendum su qualsiasi argomento. Ci mancherebbe altro. Due, che
preferiamo non discutere di “libri bianchi” sulla necessità della
chiusura domenicale scritti in sindacalese all’insegna di un’ insalata
mista teo-socio-ideologica…
Il problema è di
merito. E di cosa si tratta? Che, seppure attraverso l’escamotage del potere decisionale trasferito alle
Regioni, si vuole trasformare una scelta di coscienza in scelta
politica erga omnes. Dal punto di vista concettuale
si propone che un'entità politica ( nel caso la Regione ) ricopra
con un bel coperchio pesante una questione religiosa...
Il che, francamente, è illiberale. Come sarebbe
altrettanto indigeribile l' obbligo all’apertura erga
omnes, come pretendevano certi presunti liberali
dell’Ottocento. Personalmente, ogni domenica (e non solo) andiamo alla
Santa Messa. Ma da cattolici liberali non ci
sogneremmo mai di auspicare che
il non credente possa in qualche modo essere costretto
all'osservare il precetto. O comunque obbligato a subire le
altrui scelte politico-religiose. Insomma, ci poniamo
agli antipodi di quel cattolicesimo illiberale che "Avvenire"
sembra rappresentare.
Il punto non è
aprire o chiudere per legge. Ma lasciare libere le persone di scegliere.
Nessuno discute il diritto del cristiano di santificare la domenica, come per
contro quello di lavorare, oppure di celebrare il proprio
credo in qualsiasi altro giorno della settimana. Ma, tale diritto, non può
essere imposto per legge a nessuno: cristiano o non cristiano che sia. Perciò
massima libertà di aprire o chiudere (e quindi di lavorare o meno anche per il
dipendente) in base alle proprie idee.
Non si può
trasformare un fatto di coscienza in questione politica. Possibile che per
certo cattolicesimo sia tuttora così difficile confrontarsi con l’Abc del mondo
moderno?
Carlo Gambescia
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