Radio3 e il
rogo dei libri del 10 maggio 1933
Giusto ricordare, ma
non a senso unico...
Oggi Radio3
propone una giornata della memoria molto particolare. Si ricorda,
"adottando" almeno uno tra i tanti volumi dati alle fiamme, il rogo
dei libri, ad opera dei nazisti, del 10 maggio 1933 ( http://www.radio3.rai.it/dl/radio3/programmi/articoli/ContentItem-16945216-3758-4ff4-ab30-d83ae640e5f7.html ).
Si tratta di
un’iniziativa eccellente. Ed è certamente vero, come si legge nella
presentazione di Marino Sinibaldi, ideatore e conduttore della
trasmissione "Fahrenheit" su Radio3, che “dove si bruciano i libri,
si bruciano prima o poi gli uomini stessi”. Tuttavia è altrettanto vero che
spesso le dittature sono impazienti. Cosicché preferiscono prendersela
“fisicamente”, senza tanti giri di parole (e di libri), con gli uomini di
cultura. E solo perché tali. Sono veri e propri roghi di anime libere:
intimorite, esiliate, imprigionate, uccise.
Saremmo perciò
lieti se Radio3 il prossimo 31 agosto ricordasse ai suoi
ascoltatori che lo stesso giorno di novantuno anni fa (certo, la cifra
non è tonda...), la “Pravda” anticipò con grande evidenza la notizia
del primo decreto di espulsione di scienziati, intellettuali, scrittori
che “non accettavano il potere sovietico”. E che venivano esiliati ” nelle
“province settentrionali e in parte all’estero” perché “colpevoli di
sostegno obiettivo alla borghesia internazionale”. Tutti nomi prestigiosi, noti
all’estero, la cui sola “colpa” era di non essere iscritti
o vicini al partito bolscevico. Si veda l’elenco
pubblicato da Geller e Nekrič ( Storia dell’Urss dal 1917 a oggi, Rizzoli 1984, p. 160). Ad esempio,
tra i filosofi si ricordano i nomi di Berdjaev, Frank, Šestov, S.
Bulgakov.
Il “decreto”
ha un elevato valore simbolico perché rappresenta, come
dire, “in fasce”, la scelta totalitaria della
dittatura sovietica. Sarebbe perciò giusto che Radio3 dedicasse la
giornata del prossimo 31 agosto ai poveri esiliati russi, anno di
grazia 1922, di cui oggi non parla più nessuno.
Un rogo di anime
libere avvenuto ben undici anni prima di quello nazista. Insomma,
ricordare è giustissimo, ma il ricordo,
soprattutto se trasformato in evento mediatico,
non può mai essere inteso come una strada a senso unico.
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