Il suicidio di
Dominique Venner
e la cultura neofascista italiana
Dominique Venner (1935-2013) |
Conoscevamo
Dominique Venner. Alcuni anni fa lo avevamo contattato per proporgli la
traduzione italiana della sua storia d’Europa. Ma la cosa non andò in porto.
Chi era? Sicuramente non un picchiatore (come oggi si legge su certi
imbecilli giornali italiani e francesi). Venner fu uomo coltissimo dal
carattere molto spigoloso, fiero delle sue idee non in sintonia con la
modernità illuminista. E di riflesso, capillare studioso degli sconfitti
della storia, quelli schierati dalla parte sbagliata: tradizionalisti di ogni
colore, sudisti, russi bianchi (in senso politico), fascisti, nazisti,
eccetera.
Parliamo di uno
storico di razza, non togato ma autore di moltissimi libri, tutti scritti
molto bene. E di valore decisamente superiore, per capacità di sintesi e
profondità, ai volumi pletorici e disorganici di
accademici come Franco Cardini, tanto per fare un esempio
italiano.
Insomma, parliamo di
uno storico troppo fine e colto - e meno attento di Alain de
Benoist, di cui era buon amico, al ruolo ipnotico-politico dei rituali
“andareoltrismi” - per l’asfittico, indecoroso, muscolare scenario culturale
del neofascismo peninsulare. Infatti, di Venner
resta, quale solitaria testimonianza italiana
della corposa opera, la traduzione di un
volume dedicato all’epopea sudista. Un bel libro.
Probabilmente,
il suo plateale suicidio trova spiegazione in quel
fascino per le cause perdute (dall’Algeria francese ai matrimoni gay) che ne
animava l' intenso lavoro intellettuale: la scintilla
per fare buona storia. Ma anche per uscire fuori dalla storia. Per
sempre, e con quell' esemplare e toccante eleganza, racchiusa
nello speciale Dna dei vinti. Come è avvenuto ieri nella
Cattedrale di Notre-Dame.
Resta la nobiltà del
sacrificio individuale. O se si preferisce, il giusto onore delle armi verso un
uomo che, senza coinvolgere altre persone, ha messo fine alla
propria vita. Naturalmente, sarà facile, per molti, parlare di
"stile Mishima". In effetti, si può avanzare l’ipotesi della comune
visione eroica della vita. Anche se dalla parte sbagliata. Ma l’eroismo,
anche quello esemplare di un suicidio, si sa, non ha colore.
Di sicuro, i
tanti (troppi) pseudo-intellettuali italiani dal cuore neofascista ma dal
portafogli a destra, pur idolatrando Mishima - e ora Venner - si
guarderanno bene dal seguire le orme dei due scrittori
suicidi. Sembra quasi di sentirli, ben
accomodati davanti a un Brunello di Montalcino o
un Nero di Lupo: "Fascio-nazisti sì, ma con grassa pensione
(meglio se due) e badante… Maggiorata s'intende".
Un’ultima cosa. Il
suicidio renderà molto appetibile Venner agli occhi del necroforo
Roberto Calasso. Che prima o poi, per la serie "perle sottratte ai
maiali", si proporrà di includere lo storico nel
catalogo Adelphi…
Altra occasione
perduta per l’editoria neofascista italiana. Che oggi però onorerà, senza
averne mai letto una riga, il “camerata” Venner.
Carlo Gambescia
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