Cara donna Mestizia,
lavoro come Capo
giardiniere presso l’Abbazia di Spineto. Come può immaginare, da giorni fervono
i lavori per accogliere al meglio i ministri del governo Letta, che in questo
fine settimana ci onorano con la loro presenza. Di solito mi alzo alle prime
luci, ma nei giorni scorsi ho anticipato la sveglia. Ieri, levatomi alle tre e
mezzo, mentre ancora assonnato mi recavo nelle cucine per farmi un caffè, nel
silenzio perfetto ho sentito un rumore insolito provenire dal chiostro. E’
difficile descrivere un rumore, specie se insolito, e io non sono un letterato.
Per darle un’idea, le dirò senza timore del ridicolo la prima cosa che m’ha
fatto venire in mente. Ebbene: sembrava il sibilo di sifone elettrico delle
pompe di benzina, quando riempi il serbatoio dell’auto. Lo so, è assurdo, e naturalmente
qui a Spineto pompe di benzina non ce ne sono, ma così stanno le cose. Stupito,
un po’ insospettito, vado ad affacciarmi a una finestra che dà sul chiostro, e
guardo giù. E’ ancora notte, ma la luna e le stelle illuminano il giardino,
anche se il porticato è immerso in un’ombra fitta. In giardino non c’è anima
viva. Il rumore si ripete a intervalli regolari, e sembra nascere da sotto il
portico. Vvvvsh! Vvvvvsh! Vvvvsh! Non mi vergogno di dirle che m’è venuta la
pelle d’oca. Non ho avuto il coraggio di scendere a guardare che succedesse,
ma, facendomi forza, sono riuscito a non scappare. Sono rimasto alla finestra,
e ho teso l’orecchio trattenendo il respiro. Ecco: tra un rumore e l’altro, si
udiva una voce; ma fievole, sottile come un respiro, come un’ombra.
Concentrandomi con tutte le mie forze, ecco quel che ho sentito, e poi subito
trascritto, quasi parola per parola, sul taccuino dove di solito mi appunto gli
acquisti da fare e le date degli innesti.
“Vvvvsh! Servito,
signore, buon viaggio!” Poi di nuovo: “Vvvvsh! Servito, signore, buon viaggio!”
E avanti così per sei o sette volte. Poi, lunga pausa, mentre io sento i
capelli rizzarmisi sul capo. Ed ecco che la voce riprende, in un tono di
indescrivibile sarcasmo, amarezza, accusa, tristezza, profezia di sciagura:
“Servito! Ah, altro che servito, Gigino, ti hanno pure cambiato i filtri
dell’olio, passato la cera, pulito il parabrezza…povero Gigino, ti hanno anche
smacchiato la tappezzeria, altro che il giaguaro…Servito, servito, servito e
tradito, tradito e tradito! E’ così, è così, dolce principe e figlio! Così fu
fregato tuo padre! Mentre stava con le braghe calate, fregato per mano del
vecchio padre, di mio padre, dolce principe, mio padre! Il tuo nonno che è
tanto saggio e tanto buono, il nonno di tutti gli italiani! E’ così che a tuo
padre gli hanno fregato la vita e il trono. Il vecchio padre, lo ha fregato, il
vecchio padre d’accordo con la madre. Perché il Partito è la madre, dolce
principe, ricorda! La madre! Padre e madre lo hanno falciato a gamba tesa nel
pieno rigoglio dei suoi dribbling, a un metro dal dischetto del rigore. E
dov’era l’arbitro, dolce principe? Forse un po’ lontanuccio? Dici che non ha
visto bene, da Bruxelles? C’era nebbia, a Berlino? Tradito e tradito, fregato e
fregato! Senza votazioni in Parlamento, impreparato, senza una via d’uscita
decente per salvare almeno la faccia, senza poter preparare la sua anima a
questa sconfitta infame, a questa figura di cacca da Guinness dei primati; e
spedito a rendere il suo conto alla storia - buona quella! - col fardello di
tutte le sue battutine da bocciofila, dello streaming con Grillo, dei video su
Youtube dove cantava vittoria ballando come un deficiente perché secondo gli
spin doctors faceva tenerezza alle rezdore... Diomadonna, che schifo, che
voragine di merda! Se tu conservi in te natura d’uomo, ciccio, non devi
tollerarlo! Sul trono non può sedere un usurpatore! Però ricordati: qualunque
piano tu ordisca per raggiungere un tal fine, attento a non macchiarti la
coscienza: non far che la tua anima abbia a mai cospirar contro il Partito.
Lascia al cielo e alle spine ch’esso ha in petto di pungerlo e trafiggerlo. Ed
ora è forza ch’io ti lasci… Addio.”
E con un ultimo
“Vvvvsh!” i rumori e le voci inquietanti si tacquero. Stava sorgendo il sole, e
scioglieva la notte. Fatto un rapido esame di coscienza, ed escluso di aver
bevuto troppo la sera prima, sono andato difilato a svegliare il direttore, e
gli ho raccontato tutto. Il direttore ha ascoltato senza aprir bocca, e mi ha
spedito a casa in malattia. Un mio collega m’ha avvisato di aspettarmi la
visita fiscale di uno psichiatra. Non so. Comincio a dubitare di me stesso. Lei
che ne dice?
Bernardo Danesi
Caro Bernardo,
Che segno trarne,
non lo so; ma in mente mi vien, così alla grossa, in prima idea, che sia
presagio d’alcun turbamento nel nostro Stato. Al tempo dell’antica Roma,
nell’èra sua più illustre e più gloriosa, non molto prima che cadesse ucciso
l’onnipotente Giulio, si videro le tombe scoperchiate, e i lor morti trascorrer
per le strade urlando, avvolti nei loro sudari. La storia c’ insegna che in
casi come questo, è meglio fare l’indiano, il pesce in barile, l’orecchio da
mercante, etc. Allo psichiatra ammannisca una vicenda di traumi infantili, e
badi al suo giardino.
Roberto Buffagni è
un autore teatrale. Il suo ultimo lavoro, attualmente in tournée, è Sorelle d’Italia – Avanspettacolo
fondamentalista, musiche di
Alessandro Nidi, regia di Cristina Pezzoli, con Veronica Pivetti e Isa Danieli.
Come si vede anche dal titolo di questo spettacolo, ha un po’ la fissa del
Risorgimento, dell’Italia… insomma, dell’oggettistica vintage...
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