lunedì 27 maggio 2013


Siria 
La “guerra lampo” di Obama 
   
  


La politica estera  è cosa molto  seria,  perché contempla  la possibilità del conflitto bellico. Ciò significa che deve  principalmente  basarsi  sugli interessi geopolitici, economici,  militari  e,  quando il caso ( e se sussistono),  sui valori comuni. 
Ora, a Stati Uniti e alleati conviene più  sostenere o far cadere Assad?  I giornali di oggi, parlano della “guerra lampo” di Obama.   Tuttavia,  per il momento,   il non intervento Usa,  saggiamente,  ha favorito il presidente siriano. Infatti,  sostenere Assad -  magari metterlo nelle condizione di  vincere, senza per questo rafforzarsi troppo  -  significa mantenere in quell’ area già abbastanza turbolenta  una situazione di status quo in versione,  tutto sommato,  politicamente laica.   Per contro,  le forze che si oppongono  sul piano interno al leader siriano sembrano  divise  e  rivolte  (non tutte)  verso la deriva islamista.  Ferma restando, tra i due campi, la divisione religiosa  in  Sciiti e Sunniti: frattura  che  implica ulteriori divisioni geopolitiche all’interno di un quadro strategico già composito. 
Precisazione: quando, a proposito della Siria,  parliamo di laicità,  non c’è da parte nostra alcuna attribuzione di valore, ma più semplicemente indichiamo con il termine una posizione politica più sensibile al ruolo degli interessi, quindi pragmatica  e tutto sommato più gestibile da parte di Stati Uniti e alleati.
Perciò il problema  fondamentale  non è quello di  punire  l'uso (ancora da provare)  delle armi chimiche,  ma rinvia  alla necessità di tenere  a galla  un leader  non nemico in modo aprioristico, per farla breve,  dell’Occidente.  Le grandi battaglie morali,  poco attente alle conseguenze -  o se si preferisce l'etica dei valori, così gradita a Obama -   possono portare alla catastrofe, prima sul piano regionale, poi su quello mondiale,  soprattutto quando non si hanno leader  di ricambio e idee chiare sul dopo Assad. 
Come nelle partite a scacchi,  dietro una  guerra  (ammesso che possa  essere “lampo”) devono esserci giocatori capaci di andare, strategicamente, oltre la prima mossa.  Insomma, occorre puntare sull'etica della responsabilità. Detto altrimenti:  un buon politico, soprattutto in circostanze difficili, deve sempre privilegiare,  valutando risorse e conseguenze dei suoi atti,  non il "bene assoluto", che non esiste (almeno nell' al di qua),  ma   il male minore rispetto al  male maggiore.       


Carlo Gambescia

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