La giornata di protesta in tutto il mondo contro la dittatura di Maduro è cosa buona e giusta. La si è definita una “protesta planetaria”.
Il Venezuela, da più di trent’anni, prima con Chávez poi con Maduro, è ostaggio di una ideologia politica affine al nazionalsocialismo. Che pratica il totale controllo dell’economia privata, afferma il ruolo del partito unico, cancella ogni forma di opposizione che non sia teleguidata dall’alto, predica infine il nazionalismo più feroce.
Probabilmente i venezuelani sono allo stremo delle forze, però la struttura politica della dittatura sembra reggere, nonostante tutto. Un esempio è rappresentato dalla mobilitazione interna seguita alle accuse rivolte a Maduro di aver truccato le elezioni. Accuse probabilmente fondate dal momento che i risultati non sono stati resi pubblici.
Il consenso viene strappato grazie a un vigliacco sistema di tesseramento capillare: chi non è madurista non mangia. E riceve la visita dei suoi quadroni politici della morte.
Si potrebbe fare lo stesso discorso per Cuba, che però tutto sommato, negli ultimi anni si è aperta quel tanto che basta per incamerare valuta pregiata, ad esempio, attraverso il turismo. Il Venezuela, anche se volesse, allo stato attuale, depauperato moralmente e tecnologicamente, non sarebbe in grado di avviare alcuna attività del genere.
Il petrolio, tuttora prima ricchezza del paese, viene prodotto in quantità minima e grossolana (petrolio extrapesante), per assenza di capitali di investimento interni e soprattutto esterni, penalizzati dalle politiche autarchiche della dittatura.
Politiche che, per dirla alla buona, come per la famosa regola del ciuccio a scuola che teme di sfigurare con il primo di classe, rifiutano, facendo di necessità virtù, di ammodernare il sistema estrattivo e al tempo stesso di farlo ammodernare da altri ricorrendo al capitale tecnologico e finanziario straniero. Per restare in metafora, Maduro pretende che il primo e l’ultimo della classe non studino. Tutti ciucci insomma. La famosa regola socialista di tagliare le teste alle persone affinché si pervenga a un’altezza uguale per tutti.
I sostenitori di Maduro e in passato di Chávez – e purtroppo ne esistono anche in Europa – sostengono – semplificando – che Maduro vuole costruire il socialismo in un solo paese e impedire che tornino i petrolieri americani. Quindi bisogna stringere la cinghia, eccetera, eccetera.
In fondo sono le stesse tesi di Lenin e Stalin e di Fidel Castro e Che Guevara. Ma che ricordano anche quelle delle cosiddette dittature di sviluppo (economico), come il fascismo in Italia e il peronismo in Argentina. Si può perciò parlare di una specie di socialismo nazionale.
Di qui, come detto, le affinità ideologiche con il nazionalsocialismo, che però nacque sull’onda altissima di un feroce nazionalismo a sfondo razziale, abbattutasi con la forza di un tifone su una società già sviluppata economicamente.
Sono
cose che andrebbero ricordate. Ma non tutti, anche tra gli oppositori di
Maduro, accettano di mettere sullo stesso piano socialismo e fascismo.
Firmando così una cambiale in bianco a biechi personaggi come il
dittatore venezuelano.
Ora il punto è che le dittature di sviluppo, socialiste o fasciste che siano, non funzionano. Alla fine la verità storica ed economica si vendica sempre, come accaduto in Unione Sovietica e nei paesi un tempo imprigionati dietro la Cortina di ferro. La stessa Argentina paga tuttora le conseguenze politiche ed economiche del peronismo.
Per contro, lo sviluppo capitalistico funziona: le miracolose trasformazioni apportate da tre secoli di progresso, a meno che non si sia ideologicamente ottusi, sono sotto gli occhi di tutti. Le attuali concessioni della Cina al mercato per quanto strumentali, sono un altro punto a favore del capitalismo.
Solo Maduro sembra non capire. Si accusa Washington di imperialismo, per dare sapore al piatto di minestra e ai cerotti distribuiti, via tessera, dal regime nazional-socialista o socialista nazionale (che è la stessa cosa) venezuelano.
Una vergogna, contro la quale è giusto protestare.
Però potrà bastare, per quanto nobile, una “protesta planetaria”?
Carlo Gambescia
Bravissimo Carlo. Certo che non può bastare. Ma fra fare qualcosa e non fare nulla, noi non abbiamo scelta. I veri liberali hanno il dovere di battersi, cercando almeno di tenere desta una parte dell' opinione pubblica.
RispondiEliminaAlessandro? Grazie comunque.
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