venerdì 20 settembre 2024

Paragrafo 8. Il disfattismo italiano

 


Non è la paura della guerra atomica. O comunque non solo.  Il voto di ieri al Parlamento europeo sul sostegno dell’Ue all’Ucraina aggredita dalla Russia ha evidenziato un bel pezzo di storia politica italiana, da sempre contro gli Stati Uniti, la modernità, il liberalismo, il capitalismo. Diciamo l’Occidente.

In sintesi, l’Italia, con poche eccezioni, non votando a favore del paragrafo 8 della risoluzione ( quello sulla revoca delle restrizioni all’Ucraina sull’uso delle armi in territorio russo), ha provato ancora una volta di non aver capito una cosa fondamentale: che se non si darà una lezione a Mosca, accettando di correre il rischio – attenzione “rischio” (poi spiegheremo perché) – di un conflitto con armi non convenzionali tra Occidente e Russia, la prossima volta toccherà all’Europa libera.

Dicevamo di un bel pezzo di storia italiana. Prima si rifletta però.

I parlamentari di Forza Italia, del Partito Democratico, Fratelli d’Italia, eccetera, eccetera hanno comunque una preparazione superiore a quella del cittadino medio, che ha paura e basta. Quindi hanno conoscenze storiche che dovrebbero consentire di giungere alla semplicissima conclusione che cedere alla Russia significa solo aumentarne l’appetito storico. Detto brutalmente: bandiera bianca a Kiev significa solo rinviare il problema. Non risolverlo.

Perché invece di ragionare, e far ragionare la gente, la nostra classe politica si nasconde dietro la bandiera pacifista? Contribuendo così a una smobilitazione socio-culturale che può fare solo il gioco della Russia?

La ragione è molto semplice. Esistono effetti culturali di lunga durata. In Italia, nonostante la modernizzazione liberale, tra il 1860 e il 1914, culturalmente parlando, le classi politiche non hanno mai saputo apprezzare i valori della modernità. Sulle classi dirigenti il discorso sarebbe più complesso. Fermo restando che la società civile italiana è sempre andata più o meno a rimorchio della politica.

Comunque sia, si possono individuare tre filoni politici predominanti: il cattolicesimo, il socialismo-comunismo, il fascismo.

Da Pio IX a Fanfani, Moro, Andreotti (unica eccezione De Gasperi ) i cattolici hanno sempre visto negli Stati Uniti una specie di Satana. Le stesse idee , magari con accenti più materialistici, hanno avvelenato il socialismo (perfino craxiano), il comunismo, da Togliatti e Berlinguer fino Zingaretti, che ieri, quando si dice il caso, ha votato contro il paragrafo 8. Come del resto Fratelli d’Italia, che ha origini opposte, fasciste, e che perciò è altrettanto antiamericano come la sinistra.

Pertanto, al di là dei distinguo in politichese (“ Non abbiamo votato contro l’intera risoluzione ma solo contro l’articolo 8”), da una parte abbiamo Meloni, Tajani, Zingaretti, Salvini, Conte, dall’altra, stando ai sondaggi d’opinione, i due terzi degli italiani, impauriti e addirittura favorevoli alla resa dell’Ucraina alla Russia.

Un bel combinato disposto in cerca di guai. Un polo politico-sociale contro l’Occidente che in alto si nutre del riflesso culturale antiamericano, e in basso vive della diffusa paura della guerra atomica.

Ora, che all’uomo della strada non piacciano le guerre, è un dato di fatto. Però, che un’intera classe politica, sfrutti questo atteggiamento per appagare il suo antiamericanismo, favorendo, in alcuni casi Mosca, e neppure indirettamente, non è accettabile.

Si  potrebbe  spiegare alla gente che “rischio” non significa guerra atomica “in automatico”, ma più semplicemente che sussiste la possibilità, che non significa probabilità, che si verifichino eventi non voluti o imprevisti che possano avere conseguenze negative o dannose, come una guerra atomica tra Occidente e Russia.

Si immagina un disastro possibile ma non probabile. Perché poco probabile? Perché, se il quadro a tinte fosche dipinto dai pacifisti fosse vero, da una guerra atomica non uscirebbero né vinti né vincitori, quindi non avrebbe alcun senso politico scatenarla. Se invece fosse falso, allora una guerra atomica avrebbe un senso politico, perché stabilirebbe un vincitore.

Però in questo secondo caso, dal momento che di guerre atomiche “lunghe”, a parte la fase finale della conflitto contro il Giappone, non ve ne sono state altre, non esiste alcuna base storico-empirica per tramutare il possibile in probabile. Certo, si possono tracciare scenari, che però restano tali. Giochi da “testa d’uovo”.

Di conseguenza il rischio politico rinvia alla possibilità non alla probabilità. Detto più chiaramente: in teoria esiste la possibilità di una guerra, ma è poco probabile che avvenga.

Per il pacifismo antiamericano, nonostante l’assenza di una base empirica (la “guerra lunga”), la guerra atomica è possibile. Per i difensori dell’Occidente, la guerra è probabile ma non possibile Di qui l’accettazione di un rischio che invece i pacifisti respingono. Dal lato dei pacifisti si parla di immaginare un disastro possibile, dal lato dei difensori dell’Occidente, di un disastro probabile.

Si dirà che sono concetti difficili da spiegare alla gente comune. Giustissimo. Però esiste una cosa che si chiama onestà intellettuale.

Ci spieghiamo meglio: Perché non  ammettere che l’aggressione russa all’Ucraina non è che il portato di una politica che fin dall’Ottocento ha designato nell’Occidente prima europeo poi euro-americano, un nemico culturale prima che politico? 

Pensiamo  a qualcosa di culturalmente atavico che spinge la Russia a odiare l’Occidente. Un fatto storico e sociologico che non può essere ignorato, né sottovalutato, né perdonato se messo in pratica. Proprio nel nome di una immaginazione del disastro, autentica, che preconizza  l’Europa sotto il tallone russo.

Si tratta dello stesso riflesso condizionato antiamericano di cui è prigioniero l’antiamericanismo politico italiano. Che però, come una malattia contagiosa, attraverso il pacifismo del rifiuto assoluto del rischio, alimenta tra la gente comune uno spirito disfattista che può indebolire non solo l’Italia ma l’ intero Occidente. 

E sul quale la Russia gioca, per dividere il campo nemico, agitando il fantasma di una guerra atomica, che per prima, sa bene di non poter scatenare, perché, come dicevamo, la guerra atomica resta un’incognita storica per tutti gli attori politici. Il che la fa probabile ma non possibile. 

 Di qui, ripetiamo il rischio, che non significa guerra “in automatico”, che la Russia accetta, di fronte a un Occidente, che sempre sul rischio, si mostra invece titubante.

Con l’Italia capofila. Dei disfattisti.

Carlo Gambescia

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