Oggi è l’8 di settembre. Data dell’armistizio del 1943. Argomento storico e politico che tuttora divide. Ma fino a un certo punto come vedremo.
In realtà l’Italia, seppure pasticciando, quel giorno, in termini di trascendenza storica (pardon per il parolone), cioè di qualcosa di epocale che prescinde dai fatti contingenti, tornò alle origini risorgimentali. Francia e Gran Bretagna avevano infatti favorito il miracolo storico dell'unificazione, come apertura ai valori del liberalismo e della modernità. Certo, seguendo modalità storiche diverse: con le truppe Parigi, con la diplomazia e la pubblica opinione Londra.
Ripetiamo l’8 settembre fu un fatto epocale. L’Italia, se ci passa l’espressione, tornava a casa. Tra le democrazie liberali. Chiudendo ovviamente un occhio su Stalin.
A proposito di divisioni sarebbe interessante chiedere a Giorgia Meloni e ai ministri di Fratelli d’Italia, incluso il neoministro Giuli, cosa tuttora rappresenti per loro l’8 settembre.
Domanda antipatica. Soprattutto per chi proviene da un partito neofascista come il Movimento Sociale che non ha mai fatto veramente i conti con il passato.
La Meloni, con quella sua linguetta, strabuzzando gli occhi, respingerebbe subito la domanda, asserendo che sono cose accadute ottant’anni fa. Quindi inutile tornarci sopra. Secondo i professori di storia e politica si chiama strategia dell’afascismo. Non si parla della “cosa” anche se si pensa continuamente alla “cosa”. Puro opportunismo politico.
Giuli, che vede nel fascismo, per dirla con Evola, “pensatore” che è alle origini della sua formazione intellettuale, risponderebbe, con aria di sufficienza, che il fascismo non fu che una reincarnazione imperfetta, transeunte, molto plebea della Tradizione ( con la T maiuscola, non sia mai), e che quindi il fascismo, sequestrato da un pugno di parvenus storici, Mussolini escluso ( l’ “ultimo Antico Romano”, come disse Hitler), non poteva non finire in una sanguinosa liti tra facchini. L’antifascismo dei tradizionalisti, come Giuli, di tipo metastorico, confonde le acque, ravviva ideali malriposti, getta ponti pericolosi con il nazismo, che Evola ammirava. Ma questa è un’altra storia.
E cosa risponderebbero i Lollobrigida, i Musumeci, i Mollicone, i Donzelli? Quelli del “buca, sasso, buca con acqua, buca con fango”? Che l’Italia tradì. Chi? L’ “alleato germanico”.
Si tratta di una leggenda cara ai fascisti prima e dopo e Mussolini. Perché leggenda? Per la semplice ragione, che si dà per scontato che l’alleanza con la Germania nazista, apertamente imperialista e antisemita, e con il militarismo giapponese, mezzo fascista, mezzo tradizionalista, fosse un’alleanza come un’altra. Di qui la leggenda del tradimento di un alleato, che però “normale” non era. “Particolare” che ovviamente si omette.
Per capirsi, non si può evocare “la guerra del Sangue contro l’Oro”, parola d’ordine così cara al nazifascismo, e giudicare traditori coloro che si rifiutarono di restare fedeli a un progetto storico di sterminio di una parte dell’umanità.
Ovviamente, la Monarchia Savoia fece i suoi bassi calcoli, cercò di salvare se stessa, eccetera. L’8 settembre, l’esercito italiano si sbandò, privo di ordini. Però ecco il punto: le questioni organizzative (semplifichiamo) non vanno mescolate con le questioni ideali, ripetiamo, addirittura epocali. Perché l’8 Settembre l’Italia riabbracciò la civiltà liberale. O comunque, vista l’ingombrante presenza di Stalin, si incamminò di nuovo verso il mondo moderno, verso la società aperta, rinunciando al tribalismo nazifascista.
Ora, insistere sull’idea del “tradimento” significa non capire questo valore epocale, ripetiamo, dell’8 Settembre.
E qui si apre la questione dell’ antifascismo, molto diviso al suo interno proprio sulla difesa dell’ “Oro”. E qui pensi all’anticapitalismo marxista dell’epoca e di riflesso ai cattivi maestri stalinisti, ma anche a certi cattolici “sociali” sviati dalle venti righe con cui Maritain liquida il liberalismo in un libro sopravvalutato come Umanesimo integrale.
L’antifascismo non si è mai interrogato fino in fondo sull’importanza epocale del liberalismo moderno. Tra cattolici e comunisti prevaleva l’idea di un liberalismo come altro volto del fascismo. I cattolici vi vedevano la maledetta continuazione dell’individualismo protestante, i comunisti la lebbra dell’individualismo proprietario. Non si ravvisava nella tradizione liberale un grande patrimonio comune, capace di unire al di là delle differenza ideologiche e partitiche. I fascisti, e non sempre a torto per carità, erano visti come la guardia bianca del capitale.
Di conseguenza, l’antifascismo, soprattutto nelle sue componenti maggioritarie, catto-comuniste (per dirla con Augusto Del Noce), ha trasmesso agli italiani un’ immagine distorta dell’8 settembre, di certo non liberale: come ultimo sussulto di coloro che erano da parte dell’ “Oro”. In questo modo, come si diceva, si tradivano i tedeschi, ma non per aiutare gli italiani, ma solo per salvare i ricchi e potenti. Il che sarà stato pure vero, dal punto di vista “organizzativo”, ma non da quello ideale-epocale. Del cambio di marcia storica, se ci si passa l’espressione.
In questo modo però si favorì tra la gente comune la diffusione trasversale dell’idea del “tradimento” italiano, propugnata al tempo stesso da neofascisti e catto-comunisti, seppure in questo secondo caso nei termini di un tradimento sociale, diciamo.
Ciò non significa che la Resistenza sia stata inutile. Ci mancherebbe. Però esiste il vizio di origine del rifiuto, ripetiamo, del cambio di marcia liberale. Epocale. Da parte dei fascisti ovviamente, e di larga parte del mondo antifascista.
In realtà, che accadde quel giorno? Morì la pseudopatria fascista, ma rinacque la patria italiana. Però se ne accorsero solo coloro che parlarono di “Secondo Risorgimento Liberale”.
Ma erano in pochi. Qui il problema. Ancora da risolvere.
Carlo Gambescia
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