venerdì 13 settembre 2024

L’Unione Europea e l’appuntamento mancato con la democrazia parlamentare

 


L’idea del riconoscimento all’Italia di un  ruolo importante sostenuta da Giorgia Meloni è qualcosa di semplicistico. Una specie di lagna infantile che tramuta una questione, che potrebbe essere gestita in termini di par condicio istituzionale, cosa normalissima in una democrazia parlamentare, in una battaglia nazionalistica, che fa indubbiamente il gioco della destra. Perché semplifica fin troppo le cose e non aiuta gli elettori a capire la differenza tra la democrazia liberale e l’antidemocrazia dei rapporti di potenza tra gli stati.

Di cosa parliamo? Il principale problema delle istituzioni parlamentari europee è legato a un fatto molto semplice: al non aver mai superato il conflitto tra le nazioni, tra le forze centrifughe. Cioè, è vero che esistono gruppi parlamentari, distinti per colore politico, conservatori, centristi, progressisti, ma è altrettanto vero che questi gruppi continuano tuttora a rispondere al richiamo della foresta nazionalista. In realtà sotto questo aspetto la sinistra, internazionalista per Dna, è più avanti della destra, anzi di certa destra di ascendenza fascista, legata ai mitemi nazionalisti.

Infatti, la sinistra pone all’ingresso della destra di Fratelli d’Italia in quello che potrebbe essere una specie di governo europeo – la Commissione – un no di tipo politico, quindi non di natura nazionalista. Tradotto: non vi vogliamo nel “governo” non perché siete italiani ma perché siete di destra, una destra che, cosa ancora più grave, non ha mai fatto i conti con il fascismo.

Si tratta di una opzione politica, giustificatissima dal punto di vista della democrazia parlamentare. Una scelta che rinvia all’idea di maggioranza politica, di cui ovviamente non può fare parte un membro dell’opposizione. Altra cosa sono invece gli incarichi istituzionali, dove è necessaria una par condicio (la presidenza di una della due camere, di una commissione, eccetera, eccetera).

Il problema di fondo è che il Parlamento europeo non è una democrazia parlamentare, perché la scelta della Commissione, una specie di governo europeo – per non parlare del Consiglio Europeo – risponde a criteri nazionalistici, di equilibrio, duramento ricercato, tra potenze.

Il che spiega, le rivendicazioni antiparlamentari e nazionaliste di Giorgia Meloni, che pretende che all’Italia sia data l’importanza che le spetta non sotto il profilo parlamentare, ma sotto quello dell’equilibrio di potenza. Però, per capirsi, dal punto di vista della democrazia parlamentare, sarebbe come se in Italia, Il Partito democratico, rivendicasse la vicepresidenza del consiglio o un dicastero nel governo Meloni…

Il grande equivoco rimane proprio questo: il voltafaccia europeo, fin dal lontano giugno del 1979 quando si votò per la prima volta. Detto altrimenti: il sacrificio del principio della democrazia parlamentare sull'altare delle  ragioni nazionalistiche degli stati.

Invece di puntare sulla dinamica ottocentesca dello stato unitario, costituzionale, con al centro il parlamento nazionale, come meraviglioso momento di fusione centripeta, politica, cioè di superamento dei particolarismi, si è puntato su una specie di pasticcio politico tra nazionalismo e parlamentarismo sotto tutela. Tra forze centripete e centrifughe. Se l’Unione Europea, così come è oggi, fosse un vino sarebbe imbevibile.

Un appuntamento mancato con la vera democrazia parlamentare sfruttato dalle destre sovraniste. Si pensi ad esempio all’accusa di anti-italianismo rivolta da Fratelli d’Italia agli avversari interni ed esterni. E al conseguente dilemma che agita il cuore politico della Schlein, che appare condizionata dall’accusa di essere anti-italiana in caso di un mancato appoggio a Fratelli d’Italia. Una cosa terribile, il cancro nazionalista è il nemico principale di qualsiasi sana pratica parlamentare, perché tramuta, ripetiamo, il no politico in alto tradimento.

Qualcosa di anacronistico. E che denota la stessa arretratezza culturale manifestata in Italia dalle varie leghe settentrionaliste e meridionaliste.

Purtroppo esiste un filo rosso che accomuna l’egoistica  protesta identitaria, che va dal più piccolo comune allo stato nazionale.

Per contro, l’esperimento liberale otto-novecentesco, attraverso la centralità delle istituzioni parlamentari e il libero confronto tra partiti politici “rappresentanti” della nazione e non mandatari delle consorterie regionali, a cominciare da una fisiologica divisione in destra e sinistra, favorì la fusione di interessi e valori sul piano nazionale. Fu un passo avanti politico.  Ed è ciò che invece non è accaduto nel processo di “unificazione” europea. Dove prevalgono ancora le consorterie nazionali. Il nazionalismo è una specie di malattia infantile  che quando si cronicizza può intralciare il cammino della democrazia liberale.

Per quale ragione questo mancato appuntamento?  Ripetiamo,  perché si è privilegiata, fin dall’inizio, la redistribuzione del potere politico per nazioni invece che per partiti politici, sottovalutando il creativo ruolo fusionale di un Parlamento europeo capace di esprimere ministri europei, non italiani, francesi, tedeschi, eccetera. E cosa ne è venuto? Il controllo dall’alto – e qui si pensi nuovamente al ruolo del Consiglio europeo – con il bilancino dell’equilibrio tra potenze, attraverso l’interazione tecnocratica, o comunque tra burocrazie, centrale e nazionali, altamente specializzate: mandarini capaci di muoversi negli stretti spazi lasciati liberi degli egoismi nazionali.

Insomma, all’aria aperta dei grandi ed eroici dibattiti parlamentari dell’Ottocento si è sostituita l’aria viziata del confronto tra capi di stato, tecnocrazie e burocrazie.

In sintesi, il “governo” europeo, la Commissione, per non parlare del Consiglio europeo, non sono espressione di maggioranza politiche ma di istanze nazionali, spesso nazionalistiche, sempre di tipo particolaristico. Di conseguenza il Parlamento europeo ha un valore più decorativo che funzionale.

Di qui le stupide ed egoistiche discussioni sul ruolo dell’Italia, dell’Ungheria e degli altri corifei di un nazionalismo che un’ autentica democrazia parlamentare, ovviamente nel tempo, avrebbe mitigato se non addirittura spazzato via.

E invece? Ora il “male ” è talmente avanzato, al punto che potrebbe essere troppo tardi per intervenire.

Così è.

Carlo Gambescia

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