giovedì 19 settembre 2024

Il Draghi light della stampa europea

 


Colpisce la scarsa rilevanza mediatica del Rapporto Draghi sulla competitività. Dopo poco più di una settimana già non se ne parla più. Sia in Europa che in Italia. E questo al netto della scontata e iniziale celebrazione ufficiale. Tipo festa di un capufficio cha va in pensione. Con un tocco di triste, solitario y final, per dirla con Soriano.

La cosa più strana è che nessuno degli interlocutori, politici e mediatici, sembra aver colto il forte accento protezionistico, a livello europeo, racchiuso nel Rapporto (*). Attenzione, “sembra”, perchè in realtà le cose son ben diverse. Il messaggio è arrivato al destinatario. Che però si è messo a fischiettare, facendo finta di nulla.

Detto altrimenti, si è preferito dipingere un ritrattino di maniera. Un mezzo “santino”. O se si preferisce, un Draghi light: pillole solubili di economia, che si sciolgono in un attimo. Perché?

Probabilmente, il protezionismo europeista delineato da Draghi, non piace a Germania, Francia, Italia, Spagna, solo per fare alcuni nomi.  

De Gaulle, per fare una battuta, è vivo e lotta insieme a noi. Ma si potrebbe risalire ai foschi tempi di Mussolini e Hitler, nemici assoluti del libero mercato. De Gaulle, almeno era antifascista.Per non parlare, dell’Est Europa, cooptato in Ue, che sembra rimasto ai tempi del generale Pilsudski e dell’ammiraglio Horty. Quest’ultimo fascistissimo.

Di qui la rimozione dal dibattito pubblico della perorazione di Draghi. Nessun attacco, neppure indiretto, ma silenzio o quasi. Dal momento che l’ex Presidente della Bce, se ci si passa l’espressione che potrebbe apparire irriguardosa, resta “una vacca sacra”. Davanti alla quale ci si ferma e si cede il passo.

Perché non piace la proposta di Draghi? Per la semplice ragione che tra gli stati nazionali sembra prevalere la vecchia idea, che, una volta ammesso il principio protezionista, l’unico protezionismo che valga la pena sposare sia quello nazionale. Per capirsi: ognuno per sé, dio per tutti. E amen.

Del resto il protezionismo suggerito da Draghi, imporrebbe misure, dalla messa in comune del debito all’introduzione di leggi e regolamenti a livello europeo, che andrebbero a colpire, intralciando e rallentando, il circuito dell’import e l’export dei singoli stati nazionali. Sul quale, come direbbe Berlusconi, “ballano i miliardi”.

Si tratta di una vittoria del libero mercato? Dell’imprenditoria liberale europea? Assolutamente no. Hanno vinto – semplificando – gli egoismi nazionali. O meglio ancora: da una parte si può scorgere l’egoismo europeo (Draghi), dall’altra l’egoismo nazionale (di sovranisti e non). Per ora, la prevalenza dell’egoismo nazionale ha fatto sì che sul Rapporto Draghi venisse steso un velo di silenzio. Insomma, il Draghi light.

Ma sia Draghi, sia i redivivi De Gaulle, Horty e Pilsudski, non sono dalla parte del libero mercato. Dietro la rimozione mediatica dell’idea di un protezionismo a livello europeo si scorge la vecchia idea autarchico-nazionale, che tanta fortuna ebbe tra le due guerre.

In pratica, per usare una terminologia più alla moda, siamo davanti a un rifiuto del multilateralismo, come creazione di regole norme e istituzioni comuni a più stati associati, per puntare sul bilateralismo, o peggio ancora sull’unilateralismo, come scelta esclusiva di uno stato nazionale che rivendica le mani libere,  costi quel che costi,  soprattutto sotto il profilo economico.

Un passo indietro verso quei pericolosi conflitti nazionalistico-economici che nella prima metà del secolo scorso mutarono geneticamente in militari.

Sotto questo profilo sarebbe interessante scoprire di cosa abbia parlato Draghi, prima con Marina Berlusconi poi con Giorgia Meloni. Di sicuro non di libero mercato e multilateralismo.

Purtroppo, così vanno le cose.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/09/draghi-e-la-via-europea-al-protezionismo.html .

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