lunedì 23 settembre 2024

Zelensky e Netanyahu, ultimi centurioni dell’Occidente

 


Il romanzo di Jean Lartéguy, Les Centurions, pubblicato nel 1960, rimanda all’universo della decolonizzazione e alla debolezza di una Francia che mandava a combattere i suoi soldati – i romantici centurioni dello scrittore francese –  in Indocina e in Algeria, disarmati ideologicamente.

Un problema, non solo francese, che l’Occidente euro-americano non ha mai più risolto. Al suo interno, prevale tuttora la tesi dei suoi nemici: che l’Occidente in fondo difenda solo stesso, come accaduto per tutti gli altri cicli di civiltà. Con l’aggravante – sempre secondo i suoi nemici – di una società profondamente ipocrita che nasconde dietro lo sfavillante individualismo liberale una cupa volontà totalitaria. 

Sicché, a meno che l’Occidente non rinunci ai suoi valori, prima o poi si accartoccerà su stesso come un castello di carte. In sintesi l’Occidente deve smettere di essere Occidente. Per appagare una specie di relativismo assoluto e strumentale propugnato da un pacifismo autodistruttivo, ovviamente incoraggiato dall’esterno da russi, cinesi, hezbollah e altri “partiti di dio”, pieni zeppi di fondamentalisti e reazionari di ogni genere.

Sono idee diffuse, veicolate, e in modo martellante, appellandosi ai valori della pace e della giustizia. Si può essere contro la pace nel mondo? Non sia mai… In realtà sono pure razionalizzazioni-giustificazioni per nascondere – altro che i valori liberali … la scarsa voglia degli occidentali di battersi, se non, per dirla brutalmente, per assicurarsi pensioni più alte, servizi sociali di ogni tipo, cibi succulenti e altri piaceri, senza voler pagare alcun prezzo.

Di conseguenza, gli ultimi centurioni difensori dell’Occidente, uomini politici, se non addirittura autentici statisti come Zelensky e Netanyahu, sono visti in patria – nel senso del mondo euro-americano – come i paracadutisti francesi di Lartéguy: ospiti sgraditi, apportatori di sventura. Gente che turba il tranquillo tran tran quotidiano fatto di cappuccini con latte scremato, decaffeinato, cappuccini scuri, cappuccini chiari e cappuccini con latte freddo e caffè caldo…

Latérguy svela e punisce in modo icastico questa mentalità. Pensiamo in particolare a una pagina indimenticabile del suo romanzo.

Il capitano Boisfeuras, di ritorno dall’Indocina, giunto a Marsilia, prende un tassì. Il lettore non perda una sola parola dei dialogo che segue.

« “Dunque, signor capitano, è finalmente finita quella schifosa guerra?”.
“ Si è finita”.
“Noti bene che, personalmente , io rispetto le idee di tutti, ma quell’Indocina non potevamo davvero tenercela, dal momento che quelli che ci abitano non volevano più saperne di noi”.
Il tassì si era fermato davanti a un grande edificio moderno […].”
“ Ecco, signor capitano, è arrivato a casa dove la mogliettina l’aspetta. Non è meglio questo, della guerra? Sono 380 franchi. La mancia non è compresa. Se glielo dico, non è per offenderla, ma c’è di quelli che dimenticano, dopo essere rimasti tanto all’estero, le usanze della nostra bella Francia”.
L’autista aveva dato a quelle ultime parole tutto il loro peso.
Boisfeuras impacciato pensò. “Da disgustarti della ‘Bella Francia”.
Pagò, diede la mancia […]»
(*).

Con questo tipo di mentalità, non si può vincere alcuna guerra. Né armare altri, perché ci difendano. Al di là delle critiche, più o meno giuste, che si possano fare a Zelensky e Netanyahu, rimane, come dicevamo all’inizio, la questione del disarmo ideologico. Si badi bene non si tratta di tramutarsi in militaristi. Ma di comprendere, per dirla alla buona, che anche la libertà di cappuccino va difesa. Rischiando anche la vita.

Una necessità già avvertita, da Raymond Aron, grande pensatore liberale, che non era assolutamente un bellicista, quando asserì, si era nell’aprile del 1941, che «il futuro sarà delle democrazie rigenerate, militanti, virili, che credono in se stesse e nella loro missione» (**).

Non crediamo sia necessario aggiungere altro.

Carlo Gambescia

(*)J.Lartéguy, Né onore né gloria (Les Centurions, 1960), Garzanti, Milano 1966, p. 175.

(**) Citato in J. Molina, L’immaginazione del disastro. Raymond Aron realista politico, Il Foglio (di prossima pubblicazione), p. 71. Molina cita a sua volta da R.Aron, Chroniques de guerre. La France Libre, 1940-1945, Gallimard, Paris 1990, p. 439.

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