A leggere i giornali di oggi, anche quelli economici, in teoria amici del libero mercato, sembra sia sfuggito un aspetto fondamentale del Rapporto Draghi sulla Competitività (The future of European competitiveness), presentato ieri, circa quattrocento pagine, divise in due volumi.
Cosa è sfuggito? Il suo presupposto. Quale? Che l’era del libero scambio mondiale, segnata dal multilateralismo, stia finendo. E che quindi l’Unione Europea debba tornare quanto prima al bilateralismo e al protezionismo. Si legga qui:
“The era of open global trade governed by multilateral institutions looks to be passing, and the EU’s trade policy is already adapting to this new reality. The global trading order based on multilateral institu¬tions is in deep crisis, and it remains uncertain whether it can be brought back on track. While the EU should continue efforts to reform the WTO – and especially to unlock the dispute settlement mechanism – the EU must adapt its trade policy to a new reality. This process is already underway. The EU has also continued to expand its bilateral trade network negotiating over 40 individual trade agreements with different countries and regions The EU has also continued to expand its bilateral trade network negotiating over 40 individual trade agreements with different countries and regions” (*)
Draghi non lo dice apertamente. Ma va da sé che gli Stati Uniti e quella parte di mondo alleata all’Occidente pagheranno pegno, con l’ esclusione. O comunque saranno guardati, soprattutto gli Usa, come avversari e non più partners. E – non si dimentichi mai – la trasformazione dell’ avversario in nemico è un attimo. In particolare se in Europa le destre nazionaliste dovessero guadagnare altro terreno.
Il Rapporto Draghi, in particolare questa parte, meriterebbe di essere studiato sotto l’aspetto del realismo politico a breve termine (a quo). Un realismo schiacciato sul presente. Che rischia (anche qui si noti la sottovalutazione degli effetti perversi delle azioni sociali: si vuole il bene si consegue il male) di fornire al nazionalismo la giustificazione teorica per combattere il libero mercato su due versanti: quello del protezionismo nazionale e quello del protezionismo europeo in chiave antimericana e di “Europa Nazione” (non “delle nazioni” eventualmente), vecchia idea neofascista.
Il realismo dalla vista corta di Draghi (a quo), a differenza del realismo politico ad quem che guarda alle conseguenze future del protezionismo (la guerra di tutti contro tutti), si fonda, come per il famoso apprendista stregone, sulla ottimistica idea di poter gestire le forze protezioniste scatenate da Draghi stesso (**). Purtroppo non è così.
In primo luogo, Draghi, di colpo, cancella un patrimonio di valori comuni tra Stati Uniti ed Europa e seppellisce l’idea stessa di libero scambio multilaterale.
In secondo luogo, Draghi sembra ragionare come il Keynes della metà degli anni Trenta, quando propose per l’Impero britannico un sistema autarchico (***). All’isolazionismo americano e al nazionalismo arrembante in Europa, Keynes, altro realista politico a breve termine, rispose con l’idea di chiusura, cioè con lo “splendido isolamento” commerciale. L’idea, a dire il vero già diffusa negli ambienti politici dell’epoca, accrebbe l’odio verso la “Perfida Albione”. Inutile ricordare come andò a finire. La guerra mondiale che si voleva evitare, chiudendosi ermeticamente in casa, esplose comunque e per la Gran Bretagna, e lo stesso Impero, soprattutto in Asia, fu una prova durissima.
E come la si superò? In primo luogo con la vittoria sul campo. Frutto, in secondo luogo, dell’ aiuto determinante degli Stati Uniti. Sia bellico che economico. Uno sforzo gigantesco che nel dopoguerra, attraverso il “Piano Marshall” e altre misure, favorì la rinascita di una comunità di interessi e valori tra le due sponde dell’Atlantico. Un' onda lunga, non solo economica, che porterà a un lungo periodo di pace e benessere, che causerà, sulla base di un inevitabile confronto tra stili di vita, la delegittimazione sociale e il crollo politico-ideologico, dell’Unione Sovietica.
Pertanto la definizione di “Piano Marshall”, a proposito delle misure economiche che dovrebbero affiancare l’idea protezionista rispolverata da Draghi, non ha nulla in comune con lo storico piano economico: il primo univa Stati Uniti ed Europa, il secondo divide.
Si dirà che sono gli Stati Uniti, per primi, a non voler sentir parlare di comunione di interessi e valori con l’Europa. Soprattutto un bizzarro e pericoloso personaggio come Donald Trump (2017-2021). In realtà, poco più di dieci anni fa, ai tempi di Obama presidente (2009-2017, per due mandati), si ragionava della formazione, anche sul piano istituzionale di un gigantesco mercato transatlantico, tra Stati ed Europa. Non chiuso ma aperto in termini multilaterali con il resto del mondo (****). Un’idea meravigliosa, avversata però da quell’area di pensiero e di azione “rossobruna”, per usare un termine giornalistico.
Cosa è successo? Che la pressione dei nazionalismi (oggi si chiamano sovranismi) si è fatta più forte. Il mandato di Trump è stato devastante sotto questo profilo perché ha riabilitato l’idea protezionista. E se Trump vincesse a novembre le cose potrebbero peggiorare, dando ragione a Draghi per il presente ma non per il futuro. Perchè la dinamica nazionalista, anche se a livello di Unione europea, rischia di scatenare la guerra di tutti contro tutti, a cominciare dai grandi blocchi: una guerra non solo economica.
In qualche misura Draghi si pone, volente o nolente, sulla scia di Trump, come del resto lo stesso Biden, che sebbene non in modo smaccato, per ragioni elettorali, ha dovuto cedere sul piano delle tariffe per la protezione di alcune merci americane.
Oggi di TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) idea accarezzata dal presidente Obama, come dicevamo, non si parla più.
E Draghi, da buon realista a quo, a breve termine, si è adeguato.
Si può fare qualcosa? Difficile dire. Quando si mettono in moto i determinismi metapolitici, non è facile fare marcia indietro. Una cosa però è certa, il Piano Draghi, per dirla alla buona, “aiuta per la discesa”.
Carlo Gambescia
(*) Qui: vol. I, p. 12 (grassetto nel testo): https://www.corriere.it/economia/finanza/24_settembre_09/draghi-il-report-2024-sulla-competitivita-il-testo-integrale.shtml .
(**) Su questa terminologia, da noi coniata, si veda C. Gambescia, Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Edizioni Il Foglio, Piombino (LI) 2019, pp. 23-31.
(***) J.M. Keynes, Autosufficienza nazionale (1933), in Id, Come uscire dalla crisi, a cura di P. Sabbatini, Editori Laterza, Roma-Bari 1983, pp. 93-106.
(****) Su questi aspetti si veda la nostra recensione all’ interessante raccolta di studi in argomento, Europa Stati Uniti. La sfida del mercato transatlantico (2014). Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/search?q=la++sfida+del+mercato+transatlantico .
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