Umberto Eco ha venduto 50 milioni di copie de Il nome della Rosa (1980). Una giovane scrittrice italiana, un tempo si sarebbe detto di romanzi rosa, Felicia Kinglsey (al secolo Serena Artioli) ha invece venduto, dal 2016 (anno di uscita del suo primo romanzo) più di 1 milione di copie. Ne ha scritti una quindicina, tradotti anche all’estero.
La regina di questo tipo di letteratura, romance, magari innobilita
con un poco di pepe culturale, resta al momento Susanna Tamaro, con i
14 milioni di copie di Va dove ti porta il cuore (1994). Ma
in Italia si tratta di una tradizione che da Liala e Peverelli giunge
fino ai romanzi d’appendice pubblicati da Carolina Invernizio. Oppio
secondo alcuni critici. Ma amato. Il dolce naufragar, eccetera,
eccetera. Il mondo è complicato. Con i flussi coscienza, anche popolari,
è difficile ragionare. E peggio ancora salire in cattedra.
Sul piano della saggistica il generale Vannacci in meno di un anno ha venduto più di 500 mila copie de Il mondo al contrario. Ha trovato più acquirenti in un anno, di quelli intercettati dal Mein Kampf (1925-1926) fino al gennaio del 1933, quando Hitler agguantò il potere: 241 mila copie.
Ne Il Nome della rosa, un cervellone come Eco, professore, bibliofilo, conversatore brillantissimo, eccetera, fece astutamente alcune concessioni ai gusti del popolo. Lo schema del libro è quello del giallo popolare, vittime, colpevole, scoperto all’ultima pagina o quasi.
Questo per dire che i gusti della gente comune sono semplici. Non si vuole pensare troppo. Resta celebre quel passaggio di “C’eravamo tanto amati”, quando una graziosa Giovanni Ralli, figlia di un becero costruttore, non ancora acculturata, rivolta al marito Vittorio Gassman, scettico blu, definisce I tre moschietteri un libro tosto.
Gli storici ci informano, che nelle trincee italiane della Prima guerra mondiale, i libri più letti erano quelli di Guido da Verona, quello di Mimì Bluette fiore del mio giardino, un D’Annunzio minore, che però, a differenza del Vate, non avvertiva la necessità subculturale di saccheggiare altrui raccolte di versi e dotti vocabolari specializzati, come impietosamente provò quel mezzo diavolo di Mario Praz ( e che il lettore non porti mano…)
Tutto questo spiega il successo del libro del generale Vannacci: bianco e nero. O se si preferisce: bianco o nero.
L’ uomo comune così vede il mondo. Non ama le sfumature e non sa che farsene delle allusive punture di spillo (così le vede) della Recherche
proustiana. Chi scrive, ricorda una conoscente, fans di Raffaella
Carrà, che non riuscì mai ad andare oltre la prima pagina di Guerra e Pace:
grandissimo romanzo però fitto fitto di sfumature, che probabilmente,
andando oltre le intenzioni di Tolstoj, invitano a riflettere sul
ruolo che il caso e la necessità giocano negli eventi umani. Un romanzo
complesso. Ovviamente non per chi in fila, davanti alla cassa, sia uso fissare il sedere della signora davanti. Il lettore di Tolstoj, anche in quei momenti, continua a vagare con le mente. C'è ma non c'è.
La “gana” del bianco o nero, del Nodo Gordiano da tagliare a tutti costi, ma per interposta persona, spiega la fortuna editoriale dei legal thriller americani, dei cicli tipo Il Signore degli Anelli”, Harry Potter e dei trenta milioni di copie di Via col vento (1936).
Ripetiamo: bianco o nero, trattato però in modo romanzesco. Ma entro certi limiti, perché il lettore più che capire vuole immedesimarsi. E da lontano, meglio se in un caldo lettone. Il romanzo come proiezione di un Io comune, collettivo, e perciò identitario, fin troppo semplice, addirittura banale. Si potrebbe parlare del romanzo dell’ “Io semplice”.
Per contro, Il saggio – in senso editoriale – se troppo semplice, se rivolto all’io serializzato, può essere pericoloso. Soprattutto se di taglio politico-ideologico. I danni del Mein Kampf sono tuttora sotto gli occhi di tutti. Un’opera che sembra abbia venduto addirittura ancora di più dopo la caduta di Hitler (fino al 1945, 12 milioni di copie). Chi parla di cento milioni di copie. Chi centocinquanta, chi duecento. Insomma, tante, forse troppe, rispetto ai 35 milioni di copie del Diario di Anna Frank (*).
Ovviamente la Bibbia, resta il libro più venduto in assoluto, dai cinque ai sette miliardi di copie. Però se ci si pensa bene: dentro c’è di tutto , soprattutto per i palati meno fini: la giustizia e la vendetta, la guerra e la pace, l’amore e l’odio, il dio giusto e il dio ingiusto, il dio buono e il dio giustiziere.
Insomma, esistono due Bibbie, la Bibbia degli studiosi e la Bibbia del popolo. E in quest’ultimo caso si ritorna alle risposte semplici alle questioni difficili. Bianco o nero.
Sotto questo aspetto il libro del generale Vannacci è una piccola Bibbia del populismo. Dà risposte, più che semplici, semplicistiche a questioni complicate. Il metodo è quello del Nodo Gordiano. Bianco o nero.
E visto che siamo in Italia, patria di Mussolini, inventore del fascismo, una specie di romance ideologico, finito malissimo, autore e opera vanno tenuti d’occhio.
Esageriamo? La parola al lettore.
Carlo Gambescia
(*) Per i dati sulle vendite, per comodità del lettore rinviamo qui: https://it.wikipedia.org/wiki/Libri_pi%C3%B9_venduti . Sul Mein Kampf, (titolo cumulativo), che si divide in due tomi (I. Resa dei conti e II. Il movimento nazionalsocialista, rinviamo qui: https://encyclopedia.ushmm.org/content/it/article/mein-kampf .
Si veda anche la nostra recensione, qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2017/04/in-libreria-la-prima-edizione-critica.html . Le cifre sul suo venduto dopo il 1945 sono ipotetiche ( fonti varie).
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