mercoledì 18 settembre 2024

La vista corta di Ursula von der Leyen

 


Desideriamo insistere su un punto. Quale? Ne scrivevamo giorni fa: il mancato appuntamento con la democrazia parlamentare delle istituzioni politiche europee (*).

Anche perché questa mattina non si riesce a leggere un articolo decente in argomento. Giornalisti e studiosi, in nome di un realismo politico a breve termine, schiacciato sul presente (a quo), danno per scontate criticandole o approvandole le alchimie nazional-parlamentariste di Ursula von der Leyen. In Italia la destra gioisce per il successo, la sinistra recrimina. E così nel resto dell’Europa.

Del resto ai critici la von der Leyen potrebbe rispondere così: “Faccio funzionare le cose”. E di seguito: “Le regole sono queste, nella scelta degli incarichi di vertice il criterio nazionale non può essere ignorato, e io mio adeguo”.

In realtà ciò che prevale, come in ogni organismo politico, è la logica della sopravvivenza, o se si preferisce della durata. Ursula Von der Leyen – per dirla brutalmente – come Franz von Papen e i conservatori weimariani che optarono per Hitler, ha imbarcato Giorgia Meloni e Orbán. Servono voti, quindi tutto fa brodo.  Salvo un fatto:  che  la verità politica, come nella Germania dopo il 1933, finisce sempre per vendicarsi delle menzogne. Sono cose che possono capitare quando si ignora il realismo che guarda al futuro (ad quem), capace di andare oltre la stretta del presente (**).

Un passo indietro: la logica del durare il più possibile non può non concernere anche le istituzioni parlamentari. Esiste infatti un fenomeno come il trasformismo che ha preceduto e spesso accompagnato la storia delle istituzioni politiche liberal-democratiche. Nessuna istituzione è perfetta.

Va però ricordata una differenza: il trasformismo, come dirottamento verso il centro, è un fenomeno politico. Che si spiega, ripetiamo, con il ricorso, nella democrazia parlamentare, alle formule politiche di centro, capaci di cooptare uomini di buona volontà, diciamo, di destra e di sinistra. Si fa politica.

Nel caso von der Leyen, non c’è alcuna volontà di voler formare un centro forte, riformista come si dice, proprio perché il criterio nazionalistico, viene usato come risorsa politica per “far funzionare” le cose. Anche in questo caso la risposta della von der Leyen sarebbe la seguente: “Dovevo cooptare un “italiano”, dovevo cooptare un “ungherese”, perché la prassi e il bisogno di voti imponevano eccetera, eccetera.

Questo micidiale combinato disposto tra nazionalismo, parlamentarismo, e diciamolo pure, fatalismo, continuerà a impedire la nascita di una normale dinamica parlamentare, basata su distinzioni politiche e non nazionali. Insomma, una cosa è un centro politico, con una sua propria volontà riformista, un’altra un centro frutto di velenose alchimie nazional-parlamentariste che mettono insieme tutto e il contrario di tutto. Proprio come nella disgraziatissima esperienza di Weimar.

Del resto è la stessa Giorgia Meloni, quando parla di giusto riconoscimento al ruolo dell’Italia, a sottolineare il criterio nazional-parlamentare e non quello parlamentare. Certo, oggi sembra tornato in auge il termine patriottismo. Ma, si badi bene, il patriottismo, se disgiunto dalle istituzioni parlamentari ( e qui si pensi al grande eredità del liberalismo del XIX secolo), sfocia inevitabilmente nel nazionalismo. E alle spalle di Giorgia Meloni non si intravedono le sagome di Cavour, Giolitti, De Gasperi, ma l’ombra, degna di un film di Dreyer, di Mussolini.

Sotto questo aspetto anche il nazionalismo è un fenomeno politico. Però storicamente parlando, i nazionalisti hanno sempre visto nelle istituzioni parlamentari un pericoloso ostacolo al “ dispiegarsi delle energie nazionali”. Nel Novecento, ogni volta che sono andati al potere hanno sempre soppresso le istituzioni parlamentari. Dopo aver trattato le elezioni come un taxi per entrare in parlamento e poi distruggere tutto.

Perciò, sarà difficile fare un passo indietro. O meglio in avanti, verso la repubblica parlamentare europea. Almeno fino a quando le istituzioni europee – cosa veramente difficile al punto in cui siamo – non funzioneranno come quelle di una repubblica parlamentare, con partiti sovranazionali, maggioranza politiche, governi che dipendono realmente dal voto parlamentare – voto politico – e non dai capricci nazionalisti, incorporati, nelle istituzione europee, come ora. In pratica, servono regole nuove. Un’ impresa sisifea. Almeno per ora.

Ovviamente, il rischio è che “anche” in una repubblica parlamentare europee le destre nazionaliste riescano, prima o poi, ad agguantare il potere. La cosa non si può escludere. Tuttavia la parlamentarizzazione, se autentica, implica la civilizzazione liberale dei rapporti politici, che include la trasformazione del nemico in avversario, con il quale condividere le linee di fondo.

In qualche misura il nazionalismo, come è accaduto, per i regionalismi, attraverso la parlamentarizzazione potrebbe essere addomesticato, addolcito, comunque diluito. Il che, pur non significando la sua morte, sarebbe già qualcosa. Comunque preferibile al realismo politico dalla vista corta di Ursula von der Leyen e al pasticciato nazional-parlamentarismo di oggi. Che, mai dimenticarlo, è il vero nemico del genuino parlamentarismo.

I giornali di oggi, ripetiamo, sul punto non dicono un bel nulla. Molto retroscenismo e nazionalismo da quattro soldi. Pardon “patriottismo”… Nella migliore delle ipotesi si ragiona dell’esistente. 

Il che, può anche essere comprensibile. La lungimiranza appartiene a pochi. Però non è così che le istituzioni europee fermeranno la marcia distruttrice delle destre, marcia che vede il criterio nazionalistico rafforzarsi ogni giorno di più.

Per farla breve, invece di andare verso il parlamentarismo l’Europa va verso il suo contrario, il nazionalismo.

Carlo Gambescia

(*) Qui: https://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/09/lunione-europea-e-lappuntamento-mancato.html .
(**) Sulle varie tipologie di realismo rinviamo al nostro Il grattacielo e il formichiere. Sociologia del realismo politico, Il Foglio, Piombino (LI) 2019.

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