Invece “Il Riformista”, i cui redattori hanno letto qualche libro in più di Veneziani, propone, andando oltre, volente o nolente, i suoi interessi "terzopolisti", alcune interessanti riflessioni sul concetto di Terzo e di terzietà in politica.
Quindi su qualcosa che precede la visione della realtà. Qualcosa che la interseca per addomesticarla, urbanizzarla, incivilirla per così dire. Il “Terzo”, ed è nostra ferma convinzione, è civiltà delle buone maniere. Anche altro, ovviamente, come vedremo.
A questo proposito si legga l’ interessante sviluppo dell’idea di Terzo, spalmata (per così dire ) sue due istituzioni: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale.
Istituzioni “centrali”, è proprio il caso di dirlo, dal punto di vista di una visione moderna e liberale della politica. Perché rinviano all’idea dell’equilibrio dei poteri, garantito, per l’appunto, da istituzioni terze rispetto a legislativo ed esecutivo, a cominciare dalla magistratura, anche costituzionale, e ovviamente dal Presidente della Repubblica.
Un’idea classica, questa dell’equilibrio, però ben sviluppata dalla modernità politica. Un’idea che rimanda alla costituzionalizzazione ottocentesca della politica di stampo liberale. Un’idea, si badi, da sempre malvista dalle destra di stampo reazionario e dalla sinistra rivoluzionaria, nemiche del “giusto mezzo” politico da perseguire attraverso l’equilibro istituzionale dei poteri.
Sul piano giuridico, tecnico, il discorso è piuttosto complesso, però dal punto di vista politico, il Terzo, istituzionalmente parlando, deve garantire il rispetto delle regole del gioco. Perciò, per capirsi subito, il progetto della destra che evoca la repubblica presidenziale, punta all’eliminazione del Terzo, riunendo, esecutivo e legislativo, in chiave maggioritaria, nelle mani di un super presidente del consiglio. Insomma, la destra è per il dualismo. Con il rischio aggiuntivo ma non secondario, per dirla tutta, di infilarsi nel monismo istituzionale, visto che si vuole anche addomesticare politicamente il giudiziario.
Pertanto, rivendicare il ruolo della terzietà istituzionale non è un passatempo da intellettuali, perché la posta in gioco si chiama libertà politica. Spazio che la destra, ormai è chiaro, vuole ridurre. Proprio in nome di una visione monista della realtà: quella, quando si dice il caso, difesa da Veneziani. Un brutto soggetto, intellettualmente parlando, che critica il “pensiero unico” progressista, per opporgli il “pensiero unico” tradizionalista.
E qui va fatta una osservazione sull’importanza, dopo di quello istituzionale, del “Terzo” politico. Per capirsi: di una forza di centro. Di “resistenza” a ogni forma di estremismo.
Facciamo un esempio, per capire subito la questione: legge 194.
La destra, con una faccia di bronzo da manuale, asserisce che introducendo nei consultori i consiglieri Pro life non si farebbe altro che attuare ciò che prevede la legge. Il che è vero. Però qui la domanda è un’ altra: come mai fino ad oggi, nessuno vi aveva pensato? Se non – e qui cade l’asino – gruppi e gruppetti di tradizionalisti con la bava alla bocca, tesi a usare la democrazia liberale contro la democrazia liberale? E assetati di guerra civile.
Non ci si è pensato – e meno male – per una semplice ragione: l’esistenza di un centro, se non politico, culturale, diffuso però tra gli stessi parlamentari, ministri e presidenti che si sono succeduti.
Centro politico significa uso del buon senso per evitare, ad esempio, quella guerra sociale e culturale che i Pro life introdurrebbero nei consultori.
Per essere ancora più chiari: una legge introduce una cattiva idea? Allora il buon senso diffuso tra tutti i partiti, buon senso che potrebbe essere definito di centro, non tiene conto, con eleganza, buone maniere e un pizzico di sana ipocrisia, della norma Pro life. Sicché la lascia cadere in desuetudine. In questo modo si assicura la pace sociale, si vive tutti meglio, non si rischiano le guerre civili fin dentro i consultori.
Ciò spiega bene l’importanza del ruolo di equilibrio e mediazione, tra destra e sinistra, che può svolgere il centro politico. Pensiamo a un partito ago della bilancia, non solo in chiave numerica, ma capace di contrastare a colpi di buon senso diffuso l’estremismo politico, da qualsiasi parte provenga: Woke, antiWoke e compagnia cantante.
La visione comune della realtà, evocata da Veneziani, è quella di destra, e per giunta di una destra reazionaria. Ovviamente a sinistra si risponde con una visione altrettanto netta: ultra progressista a colpi di statalismo all'insegna del “Silenzio! So io, STATO, ciò che è bene per il cittadino”.
Purtroppo, al momento in Italia, ma il discorso non riguarda solo noi, manca un Terzo, manca un centro politico, manca la capacità di mediazione. Perciò bene ha fatto “Il Riformista”, comunque stiano le cose, a sollevare la questione.
Le vie delle libertà passano per quei partiti che potrebbero essere definiti della “Resistenza” agli opposti estremismi, a ogni “movimentismo” per così dire. “Resistenza” nel senso storico della Francia, tra il 1830 e il 1848, quando un grande statista liberale come Guizot, stretto tra due fuochi, si propose dichiaratamente di “resistere” a reazionari e rivoluzionari. In parte vi riuscì. Ma il popolo non capì fino in fondo l’importanza di un centro politico e inerzialmente votò in massa per il potere plebiscitario di Napoleone III. Che rimase al potere per circa vent’anni fino alla catastrofe di Sedan.
Un particolare: Napoleone III, negli anni Sessanta, capì l’importanza del Terzo, e richiamò i liberali, centristi, al governo. Ma era troppo tardi.
Noi invece saremmo ancora in tempo. Ma dove sono liberali italiani? Al momento vediamo solo quattro o cinque professori, gelosi del loro metro di terreno, che discutono, rinchiusi nel bunker, persino sul vero colore dei cappellini delle consorti di Hayek.
Carlo Gambescia
Nessun commento:
Posta un commento