Leggevamo ieri sul “Foglio” del genetliaco (sessant’anni) di Gian Marco Chiocci, direttore del Tg1, anno II della Rivoluzione fratellista. Festeggiato, urbi et orbi, nella verdoniana Villa dei Quintili (vi girò “Compagni di scuola”). Il tutto in stile matrimonio ai Castelli. Giorgia Meloni non c’era, però c’era Nunzia De Girolamo. A ciascuno il suo. Anzi la sua…
L’estensore anonimo, esperto in vippai, se la cava ricorrendo alla paleolitica nomenclatura delle prove tecniche di nuova Dc.
Non ce la sentiamo di sottoscrivere. Non ci convince ad esempio la provenienza di questi nuovi democristiani. Uno di costoro un tempo era in quota Alemanno, genero di Rauti e leader della destra sociale. Un tipetto, allora ventenne, da “sasso… buca… buca con acqua…”.
Altre figure di giornalisti e politici, accorse in massa sul set di Verdone, provengono sempre dalla stessa destra dura. Un po’ dannunziana, un po’ squadrista, un po’ arruffapopoli, un po’ affamata. Una rimpatriata insomma. Non compagni di scuola, ma di partito e dintorni.
I democristiani, quelli del cosiddetto regime , prima erano tutti professori di provenienza Fuci (anni Quaranta e Cinquanta), poi manager pubblici (anni Sessanta e Settanta), infine tangentisti (anni Ottanta). Quel che però conta dal punto di vista analitico resta l’assenza di un profilo di base dal manganello facile.
Il democristiano (Fuci, manager,tangentista) non era un prodotto antisistemico. Borghese, piccolo piccolo magari, ma antifascista. Non odiava, non si sentiva superiore come il classico repubblichimo sconfitto. Non sognava la spallata finale. In principio era il Verbo De Gasperi. Quei diccì si confessarono regolarmente fino all’ultimo giorno.
Il democristiano rimase nell’animo boy scout. Missini e post missini, malgrado gli sforzi, hanno tuttora un fare violento, a cominciare dal linguaggio. Che sarà rimasto dell’antica antropologia squadrista? La cosa andrebbe approfondita, non liquidata dando per scontato il godereccio finale da Bisanzio democristiana.
Pertanto se regime sarà, sarà non alieno dalle mollezze, ma sempre con il dito sul grilletto. Una cosa alla Ettore Muti, che amava le dive dei telefoni bianchi e la pistola tedesca che teneva sotto il cuscino.
Ovviamente, i tempi sono cambiati, o comunque consigliano il basso profilo. Giorgia Meloni, vieta al “bad guy” di una volta di parlare. Gli conta perfino le vocali. Quindi feste e torte, bella, o quasi, gente: quel tanto che basta per far scrivere ai cronisti della nuova Dc. Una coccardina mediatica che tutto sommato fa comodo. Profuma di normalizzazione.
Il democristiano, pelato e con gli occhiali, non faceva e non fa paura a nessuno. L’ex militante, anticapitalista, antiamericano, antiliberale invece può ancora spaventare.
Pertanto, ripetiamo, feste sì, ma senza esagerare, una via di mezzo tra la “Grande Bellezza” e “Vogliamo i colonnelli”. Tra il “Ballo Ballo” della Carrà, di Sorrentino, e il “Vecchio scarpone” delle contesse di Monicelli.
Oggi l’onorevole Tritoni, ha dismesso il cappello piumato tipo Vaira Moretto. Ora è attento alla fashion maschile. Veste sportewear, con puntate nello streetwear e nel bohemian chic. Senza dimenticare uno stile classico ma sofisticato, a cominciare dalle scarpe Oxford. Poi un filino di barba, di abbronzatura, fisico tonico, l’occhio neocolonialista che si perde nelle sterminate savane del conto corrente.
Per dirla sempre con Verdone (altro film però): “Un bel giorno senza dire niente a nessuno mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana”. Pardon meloniana… In rotta per dove? Villa dei Quintili…
Carlo Gambescia
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