Ritornano regolarmente le polemiche sulle "vendette" partigiane nel 1945. Sono in particolare gli eredi dei fascisti “per li rami” a cavalcare la questione. Ma non solo.
In questi giorni Giampaolo Pansa, autore de Il sangue dei vinti, è di nuovo sotto tiro. Per la sinistra è un bugiardo e un traditore. Ovviamente per la destra un eroe.
In realtà, al di là dei giudizi di merito, è veramente un grave segno di immaturità politica che dopo ottant’anni (inclusi i trent’ anni di revisionismo galoppante in stile Mediaset) si usino ancora i morti ammazzati come risorsa politica.
Le guerre civili non sono pranzi di gala. Per questo motivo, una volta terminate, ci si deve mettere una bella pietra sopra. Purtroppo, dai Gracchi in poi, per rimanere in Italia, ad essere travolti, quando il gioco si fa durissimo, sono sempre gli innocenti di ogni età. Brutte pagine scritte quasi sempre con il sangue dei vinti. Pansa non ha scoperto nulla di nuovo. Purtroppo.
Ora, perché in Italia invece di dimenticare, ci si scontra ancora su queste tematiche?
In primo luogo, perché una vera pacificazione tra le parti in conflitto non è mai avvenuta. E non poteva avvenire, perché la Repubblica non poteva non nascere antifascista. Era nell’ordine naturale delle cose storiche.
Però l’uso è una cosa, l’abuso un’altra. Cosa vogliamo dire? Che l’antifascismo si è nel tempo tramutato in risorsa politica di proprietà della sinistra: un mito di pronto impiego. Ovviamente ciò non giustifica, come accade, la riabilitazione del fascismo dipinto addirittura come un’ organizzazione non governativa.
In secondo luogo, i “vinti” non hanno mai accettato la Repubblica, proprio perché “antifascista”. Non hanno mai capito la lezione. Un vero esame di coscienza non è mai stato neppure iniziato.
I più accondiscendenti verso la Repubblica tuttora sostengono che il fascismo avrebbe fatto “anche cose buone”. Non si vuole capire che se fossero state buone veramente non sarebbe finita con Mussolini appeso.
Francisco Franco, e non siamo sicuramente amici delle dittature , nonostante tre anni di guerra civile, morì nel suo letto. Dopo di che la Spagna, pacificamente, svoltò verso la democrazia. Compitino a casa per i “vinti”: “Individuare ed elencare le differenze tra franchismo e fascismo”.
In terzo luogo, dopo la guerra, se amnesia fu, riguardò il liberalismo, anzi l’animus liberale. Perché si continuò a ragionare secondo il metro fascista: nessun avversario solo nemici. Cambiò solo il colore della vittima. Di conseguenza la storia della Repubblica – ancora peggio dopo la “discesa in campo” di Berlusconi – si è manifestata secondo le linee storte di una prosecuzione della guerra civile con altri mezzi. Ci spieghiamo.
Da un lato l’ antifascismo, come dicevamo, di pronto impiego, per mobilitare gli elettori e coprire altre magagne, come ad esempio per i comunisti i legami con Mosca.
Dall’altro il fascismo “nostalgico”, all’insegna di ciò che poteva essere e non fu per colpa di un destino cinico e baro. Un mito reinventato a tavolino, come ad esempio nel caso dei missini e di larga parte di un elettorato acefalo, serbatoio di voti prima per la democrazia cristiana, poi per il Cavaliere, oggi per Giorgia Meloni. Un elettore, spesso di pancia, che continua a credere che “si stava meglio quando si stava peggio”.
Comportamenti collettivi da immaturi politici, alimentati da una classe politica, forse anche dirigente, che confondeva e confonde, spesso intenzionalmente, Resistenza, iniziata all’indomani dell’avvento del fascismo, nel 1922-1926, e non nel 1943 come invece pretendevano i “rinati” democristiani, e Antifascismo , giusto in sé, ma monopolizzato e strumentalizzato dalla sinistra comunista.
Sicché la guerra civile continua. I “vinti” rivogliono indietro il sangue. I “vincitori” non vogliono restituire. Come andrà a finire, se e quando finirà, ora che Gorgia Meloni presiede l’ Avis di Palazzo Chigi?
Carlo Gambescia
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