giovedì 25 aprile 2024

Liberazione. La celebrazione che divide. Perché?

 


Nell' Italia dei primi anni Sessanta del secolo scorso, quella minuta, a scuola non si parlava granché  della Festa della Liberazione. Ovviamente, con alcune  eccezioni.  Così  riferiscono  gli storici. 

Ricordo da bambino di un maestro privo di un braccio. Lo aveva perso in Russia, si diceva, per combattere il comunismo. Punto. Vent'anni, separavano gli italiani dalla caduta del fascismo, eppure   sembravano trascorsi invano.

Per chi scrive il primo impatto con la Resistenza fu alle scuole medie, quando si diffuse la notizia della morte di Paolo Rossi, studente all’Università di Roma, precipitato da cinque metri nel corso di tafferugli con un gruppetto di studenti neofascisti. Per inciso, i colpevoli non furono mai individuati.

Allora, intorno alla metà degli anni Sessanta, sentii, per la prima volta, parlare di Antifascismo, Resistenza e Liberazione. Provenivo da una famiglia borghese, “afascista”, con una gloriosa eccezione, il nonno materno, bersagliere, che “passando i suoi guai”, come diceva mia nonna tra l’arrabbiato e l’orgoglioso, non volle mai iscriversi al Partito nazionale fascista.

Piaccia o meno, i valori dell’ Antifascismo, Resistenza e Liberazione – questo è il problema – non sono mai stati vissuti sentitamente a livello di massa. Insomma,  come tali.

Per quale ragione? Perché gli italiani furono troppo coinvolti emotivamente e socialmente, almeno fino allo scoppio della guerra. Quando, finalmente, ma a loro spese, scoprirono che il fascismo non era altro che una tragica buffonata. Di qui, se ci si passa l’espressione, il tentativo, che dura tuttora, di nascondere la polvere sotto il tappeto. Una vergogna, prima tradottasi in silenzio (i padri), poi in ignoranza (i figli), infine in dimenticanza (i nipoti) 

Con l’ esplosione dell’attivismo di estrema destra, nel ruolo di “guardia bianca”, alla fine degli anni Sessanta, cui corrispose quello di estrema sinistra, come portato dell’Autunno caldo e del Sessantotto universitario, si iniziò di nuovo a valorizzare, anche con una formalizzazione ed estensione delle cerimonie pubbliche, la Festa del 25 aprile. Che si celebrava anche prima, ma quasi sottovoce (cose da élite politiche), ad eccezione delle sinistre, comunisti e socialisti, che anche per numero di caduti e per ideologia totalitaria, si sentivano i padroni della Resistenza e della liberazione a livello collettivo.

Pertanto il “rilancio” della celebrazione risale agli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, in chiave spiccatamente antifascista, nel senso di opporsi al neofascismo, che, così sembrava all’inizio degli anni Settanta, stava crescendo sul piano elettorale, oltre ad essere molto attivo nelle piazze e nelle scuole.

L’antifascismo, giustissimo in sé, soprattutto se allargato al rifiuto di ogni forma di dittatura, nera o rossa, veniva però usato come risorsa politica, contro il pericolo di un ritorno del fascismo in Italia.

Cosa vogliano dire? Che, a prescindere dalla realtà o meno della tesi sostenuta dalla sinistra, l’antifascismo-catapulta  finiva così  per  tramutarsi, e in modo definitivo,  in un valore di sinistra.  Così  allora già  lo vedeva, rigettandolo o quasi, la stragrande maggioranza degli italiani, la tenace (a morire) zona grigia del 1943-1945, di cui parlavamo ieri (*), contraddistinta nel tempo dal silenzio, dall’ ignoranza e dalla dimenticanza. Oggi si parlerebbe, in termini psicologici, di una specie di autogratificante “comfort zone”.

Da allora, nulla è cambiato. Anzi le cose sono forse peggiorate, dopo la discesa del Cavaliere in politica, con l’avvento al potere degli eredi del Movimento sociale, partito dalle salde radice fasciste, mai “gelate”, per usare la terminologia che tuttora incontra il favore di Giorgia Meloni.

Nelle ultime generazioni, come attesta la distribuzione del voto giovanile,  la “dimenticanza”, si è tramutata, proprio grazie all’oblio, nella riscoperta, non tanto del fascismo in sé, quanto della tentazione fascista: di un nucleo di valori reazionari, per così dire prefascisti. La serra calda, come si dice, in cui semi e piantine, eccetera, eccetera.

Pertanto, quando la destra parla di una celebrazione divisiva, pur usando modi e toni irrituali, spesso violenti, non ha tutti i torti. Perché gli italiani, sul piano collettivo, non hanno mai metabolizzato, l’Antifascismo, la Resistenza, la Liberazione.

Probabilmente, in termini di psicologia sociale: la colpa è nella complicità e vergogna dei nonni. Ovviamente, la destra, non è stata da meno, perché soprattutto dopo l’avvento al potere di Berlusconi, ha usato l’anti-antifascismo, come un risorsa politica, proprio come la sinistra, e quel che è peggio, ripetiamo, con gli stessi toni e modi.

E così siamo giunti, al 25 aprile 2024, più divisivo che mai. Dove, al colmo della confusione politica, la sinistra, non tutta onestamente, usa la celebrazione per attaccare Israele. E la destra, i nipoti o quasi di coloro che promulgarono le leggi razziali, si presentano come i nuovi paladini di Gerusalemme. Parliamo degli stessi che sostengono che il Movimento Sociale  fu un partito democratico perché sedeva in Parlamento. Non sono credibili.

Sono cose che purtroppo accadono quando si politicizzano i valori. Antifascismo, Resistenza e Liberazione dovevano trasformarsi, ma da subito, negli a priori kantiani della Repubblica,  in un  "tempo"  e uno  "spazio"  condivisi in automatico,  in alto come in basso, da tutti o quasi.

Non si è voluto, non si è potuto. Sia come sia, l’Italia però è profondamente divisa. E la destra è al governo. Una destra, che, a differenza degli italiani, nulla ha dimenticato.

Carlo Gambescia

(*) Qui: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.com/2024/04/afascismo-e-anti-antifascismo.html .

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