Ieri ci è capitato di parlare con alcuni medici, infermieri, assistenti, tutti molto giovani.
Ragazzi, o poco più, che lavorano nella sanità pubblica e nell’assistenza agli anziani.
Il quadro psicologico-lavorativo di questi addetti ai lavori è disastroso: pochi operatori, orari massacranti, stress cronico e persistente. Con gravi effetti di ricaduta su prestazioni e servizi forniti a malati e assistiti.
Si è comunque trattato di una conversazione molto interessante. Siamo rimasti colpiti in particolare dalla figura di un giovane OSS (Operatore Socio-Sanitario), molto motivato, ma non privo di seri dubbi, tra l’altro ben argomentati, sul futuro svolgimento del suo lavoro e più generale sulla sanità pubblica.
Perciò, prendendo spunto dalla chiacchierata di ieri, una specie di romanzo di un giovane povero OSS (per citare il titolo di un'opera ottocentesca), desideriamo proporre ai lettori qualche riflessione più generale in argomento.
Prima qualche dato.
“Al primo gennaio 2023, le persone con più di 65 anni sono 14 milioni 177 mila, il 24,1% (quasi un quarto) della popolazione totale. Cresce anche il numero di persone ultraottantenni, che arrivano a 4 milioni 529 mila e rappresentano il 7,7 per cento dei residenti, mentre da inizio millennio il numero di ultracentenari è triplicato. Al contrario, diminuiscono gli individui in età attiva, tra i 15 e i 64 anni, che scendono a 37 milioni 339 mila (il 63, 4%). Si riduce anche il numero dei più giovani: i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334 mila (12,5%)” (*).
Ciò significa ad esempio che il numero degli anziani non autosufficienti o comunque bisognosi di cure è inevitabilmente destinato a crescere, come del resto a diminuire il numero degli individui in età attiva.
Il problema è noto. Nulla di nuovo insomma.
E allora qual è il vero punto della questione? Che una società come la nostra indebitata, a Pil basso o decrescente, con strutture inadeguate (ospedaliere e di assistenza), quasi tutte pubbliche, non poche fatiscenti, non attrezzate, con insufficiente numero di addetti, di qui a qualche anno, non sarà più in grado di sostenere e fornire assistenza, secondo quei parametri umanitari continuamente sbandierati da un classe politica che per ragioni elettorali punta sull’ accrescimento delle aspettative. Si chiama anche crisi fiscale dello stato.
Le cifre parlano di esplosione della sola spesa sanitaria. Che fra il 2000 e il 2023 è quasi raddoppiata in termini nominali da 68 a 131 miliardi di euro (**). Su una spesa pubblica finale al 2024 di quasi 900 miliardi di euro: oltre il 50 % del Pil (***),
Ma al di là dei numeri si pone un problema logico, anzi di logica sociale. Di una semplicità disarmante che ricorda i compitini assegnati agli scolari delle elementari: “Trovare la soluzione del seguente problema: che cosa può accadere alla Famiglia Italia se le uscite superano le entrate, mentre cresce il numero degli anziani, e diminuisce il numero delle persone attive, rimanendo stabile il numero degli addetti ai servizi sanitari e assistenziali?”. Riposta: “Che la qualità dei servizi prestati peggiorerà, o nella migliore delle ipotesi rimarrà ai bassi livelli attuali”.
Perciò la soluzione che offre la classe politica, soprattutto sul piano delle proposte elettorali, rimanda per un lato a prospettive di rifinanziamento del servizio pubblico in via diretta (crescita dei tributi) o indiretta (indebitamento), e per l'altro a mirabolanti promesse, condannate a rimanere tali, considerata la crescente spoporzione tra attivi e non attivi in favore di questi ultimi.
Attenzione: anche la soluzione dei tagli, perorata e introdotta dalla destra (sembra un due-tre per cento della spesa finale in meno tra il 2023 e il 2024), implica inevitabilmente, all'interno di un sistema sanitario pubblico, il peggioramento della qualità di servizi: qualità che già di per sé lascia a desiderare.
Inoltre, come capita sempre alla destra, inutile farsi illusioni sui margini di miglioramento di un sistema semipubblico, o meglio parapubblico, basato sulle convenzioni con i privati. Una mediocre "metodologia" che assicura ai privati rendite e non profitti: l'esatto contrario di un sana economia di mercato. Un vero guazzabuglio pubblico-privato, sovente fonte di scandali e ruberie.
Risparmiano al lettore ulteriori riflessioni sociologiche e filosofiche sulla ignavia che domina la burocrazia e sull'impossibilità di riformarla considerata l'imperfezione della natura umana. Imperfezione, soprattutto conoscitiva (l'informazione perfetta esiste solo nelle bocche degli utopisti, cioè degli stolti), da cui dipendono gli effetti perversi delle azioni sociali. Detto altrimenti, si vuole il bene si ottiene il male. Ovviamente vale anche il contrario. Il punto è che gli effetti finali delle azioni sociali, dall'individuo allo stato, sono e saranno sempre imprevedibili.
Diciamo infine che le soluzioni gravitano tra la macro-demagogia delle sinistre e i micro-tagli della destra: tra il vento di un folle statalismo e le forbicine per le unghiette della spesa sociale.
In realtà l’unica vera soluzione resta quella di privatizzare e aprire alle grandi multinazionali della sanità, creando un autentico mercato della sanità. Pura fantascienza per l’Italia.
Di conseguenza nulla cambierà: cattivi servizi e personale stressato. Ovviamente fino alla definitiva crisi fiscale dello stato.
Carlo Gambescia
(*) Qui per una rapida sintesi della questione: https://temi.camera.it/leg19/post/OCD15_14972/rapporto-annuale-istat-2023-delineato-quadro-demografico-e-i-suoi-effetti-lungo-periodo-sulla-capacita-crescita-italia.html .
(**) Qui per una prima informazione sugli ultimi sviluppi della spesa sanitaria https://osservatoriocpi.unicatt.it/ocpi-pubblicazioni-l-evoluzione-della-spesa-sanitaria-italiana .
(***) Qui sul bilancio dello stato: https://www.rgs.mef.gov.it/VERSIONEI/attivita_istituzionali/formazione_e_gestione_del_bilancio/bilancio_di_previsione/bilancio_semplificato/ .
Nessun commento:
Posta un commento