Ci si interroga sull’antisemitismo negli atenei. E soprattutto si vuole risalire alle colpe.
Intanto, il punto è che molti di coloro che a destra (perché ci sono) e sinistra rifiutano il diritto di parola a Israele, non si sentono affatto colpevoli. Anzi ritengono fermamente di essere dalla parte della ragione come le SS che sguinzagliavano, in automatico, i cani nel ghetto di Varsavia per fiutare, catturare e fucilare ebrei. Profilassi sociale. Si guardi la propaganda nazista dell’epoca, in particolare notiziari e documentari.
Insomma, a proposito dei contestatori, molto spesso violenti, non si tratta di una questione di contenuti (ciò che dicono e fanno), ma di forme del pensiero ( cognitivamente, aperte o chiuse).
Si dirà che la prendiamo troppo da lontano, e che comunque si deve fare qualcosa per favorire la libertà d’opinione negli atenei, senza opprimere nessuno, né i contestatori, né gli israeliani.
Perfetto. Se è questo che si vuole, allora ci si deve proprio interrogare sulla forma mentis del contestatore.
Abbiamo appena fatto un parallelo tra le SS e i contestatori di oggi. Qual è il minimo comune denominatore? La mente chiusa dall’ideologia che porta a imporre le proprie idee anche con la forza.
Che cosa significa mente chiusa? Per metterla sul lato psicologico è l’incapacità di guardarsi allo specchio. Di guardarsi dal di fuori, di relativizzare le proprie idee.
I nazisti e gli antisemiti, pardon ora si fanno chiamare antisionisti, ieri come oggi, puntano alla distruzione del popolo ebraico, nel quale vedono il nemico da distruggere. E tutto questo è creduto e vissuto in chiave assiomatica. Gente del genere neppure sa dove sia di casa il mea culpa.
Un inciso: l’antisionismo non è che la naturale prosecuzione dell’antisemitismo: se gli antisemiti nazisti negavano il diritto di esistenza dell’ebreo in quanto tale, gli antisionisti negano il diritto di esistenza dello stato-nazione ebraico, o comunque a maggioranza ebraica. La sostanza è la stessa: l’eliminazione di ogni traccia di ebraismo in forma di movimento (il mondo ebraico della diaspora), come di istituzione (lo stato di Israele). Dalla profilassi sociale (nazisti) alla profilassi geopolitica (antisionisti). Sempre di “profilassi” si tratta.
E non sia dia ascolto allo storiella dei due popoli, due stati. Per Israele non cambierebbe nulla. Anzi, con il nemico statalizzato alle porte, sarebbe ancora peggio. Il palestinese andrebbe invece modernizzato, dove necessario secolarizzato, e integrato. Ma questa è un’altra storia.
Facciamo solo un esempio di questa chiusura mentale. Si rimprovera a Israele di opprimere i palestinesi. Benissimo. Andiamo a vedere i fatti.
La popolazione israeliana, inclusa una forte minoranza araba (circa 1 milione e mezzo) è di circa 10 milioni. Per contro la popolazione dei paesi aderenti alla Lega araba ammonta a circa mezzo miliardo: 500 milioni. I palestinesi (come membri dello stato della Palestina (Cisgiordania e striscia di Gaza) sono circa 5 milioni (per inciso nel 1948 i palestinesi erano poco più di 600 mila: dov’è il genocidio del popolo palestinese?).
Gli ebrei sparsi nel mondo, quindi parliamo dei seguaci dell’ ebraismo (la religione), sono circa 15 milioni, magari alcuni con la doppia cittadinanza: però si tratta di cifre minime (i palestinesi invece sono circa 6 milioni, più i 5 già citati sopra). Per contro gli islamici nel mondo sono quasi 2 miliardi (*).
Israele è un' isoletta circondata da un mare di nemici.
Ora guardarsi allo specchio, da persone normali senza alcun pregiudizio, significa, capire, che non è Israele che opprime gli arabi, ma gli arabi che hanno le carte in regola, a cominciare dagli sviluppi demografici, per opprimere Israele.
Lo stato di Israele si difende come può. Se abbassasse le armi verrebbe immediatamente cancellato dalla faccia della terra. Piaccia o meno, sono rapporti di potenza. Qui l’importanza dell’appoggio, anche militare, dell’Occidente, per controbilanciare arabi e islamici, quindi anche non arabi come gli iraniani.
Rifiutare questa realtà – in pratica i fatti – significa possedere una mente chiusa, diremmo oppressa dall’ideologia. Ed è questo l’atteggiamento dei contestatori degli atenei italiani che rifiutano il diritto di parola a Israele nel nome dell’ideologia antisemita-antisionista.
Si può fare qualcosa? Certo. Difendere il diritto di parola dello Stato d’Israele e dei suoi rappresentanti a ogni livello. E soprattutto ristabilire la verità: che il cattivo non è Israele.
Purtroppo, come recita il proverbio, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire…
Carlo Gambescia
(*) Sono dati, a prescindere dai siti specializzati (Ispi, Limes ad esempio, frequentati dagli specialisti), a portata di clic su Internet per voce. Quindi tutti potrebbero facilmente documentarsi. Eppure…
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