Chi era Nicola Bombacci? Un attimo di pazienza. Prima una piccola premessa.
Che l’ Italia sia politicamente anormale e refrattaria al liberalismo non è una nostra idea fissa. È realtà.
Oggi su alcuni giornali si commenta, e positivamente, che Ignazio La Russa, “sotto lo sguardo benedicente della leader di FdI, abbia chiamato la standing ovation per Enrico Berlinguer, e [che] la platea meloniana a Pescara si sia spellata le mani in onore del mitico segretario del Pci (*).
Altro argomento che ritorna spesso, non solo in questi giorni, soprattutto sui giornali fiancheggiatori del governo (e sono tanti), è quello dell’omaggio che Giorgio Almirante rese al feretro del leader comunista. Poi ricambiato da Pajetta quando morì Almirante. Si legge anche di un rapporto privato intenso tra Almirante e Berlinguer. Fuori le prove… Ma lasciamo stare i pettegolezzi politici a mezzo servizio della “normalizzazione” meloniana.
Il vero problema è che fascisti e comunisti non sono spariti, come capita di leggere sulla stampa filogovernativa, ormai debordante e sicura di sé, al punto di irridere chiunque non incensi la leader di una estrema destra che in realtà nulla ha dimenticato nulla ha perdonato.
Nel leggendario e simbolico connubio Berlinguer-Almirante, al di là dei bassi interessi di “cucina politica”, Fratelli d’Italia scorge la figura del militante duro e puro.
Lo chiameremo il complesso di Nicola Bombacci, prima socialista, poi comunista, infine fascista, al punto di essere fucilato a Dongo con Pavolini fascista invece a vita. Ma sempre militante, al di là di cambiamenti di casacca, con il coltello tra i denti.
Per capirsi: questa gente di destra è così confusa, ma ostinata nel suo cupo odio politico contro l’ idea liberale, che adora immaginare Berlinguer fucilato al fianco di Almirante. Come Bombacci. Tre militanti in un colpo solo.
Altro aspetto interessante. La figura del militante rimanda alla figura del nemico non dell’ avversario. Perciò siamo lontani dal liberalismo che invece privilegia il concetto di avversario: chi può avere idee differenti ma che proprio per questo è necessario – quindi deve esistere – al confronto liberal-democratico delle opinioni. Opinioni, si badi, non verità, magari assolute.
Giorgia Meloni, Ignazio La Russa continuano invece a ragionare sulla base del nemico, con il quale si può anche essere cavallereschi, ma che resta tale.
Ciò significa che con il nemico si può solo trovare un accordo temporaneo: un armistizio. Si possono sospendere le ostilità. La guerra può però sempre riprendere perché il nemico, se tale, deve essere combattuto fino alla sua eliminazione.
Per capirsi: l’avversario resta, perché parte di una dinamica inclusiva, il nemico deve invece scomparire, perché parte di una dinamica esclusiva.
Si dirà che anche la sinistra,in versione Schlein e Conte, resta tuttora ancorata all’idea di nemico. Giustissimo. Qui si torna al comune elemento giacobino che rinvia alla dittatura della verità, condivisa da ex missini ed ex comunisti ( e populisti aggregati). Ex si fa per dire. Tutti insieme ritengono di essere dalla parte giusta della verità storica. Zero dubbi. Proprio come i giacobini.
Ecco qual è la tragedia dell’Italia: il rifiuto della dinamica liberale distinta invece da una lotta politica tra persone normali, fallibili, imperfette, che rifiutano l’idea di avere il segreto della storia umana in tasca, come ritenevano Robespierre, Lenin, Mussolini, altrimenti non si sarebbe alleato con un tipo messianico come Hitler, e Bombacci. Ma anche Berlinguer e Almirante, che non hanno mai rinunciato all’immaginario comunista e fascista. Ora, e il cerchio si chiude, celebrati da Giorgia Meloni e Ignazio La Russa.
Si legga, di seguito, quanto scriveva Luigi Salvatorelli, veramente profetico nelle sue analisi a caldo del fascismo, nel lontano 1921.
“ Ebbene la psicologia di codesti violenti – fascisti o comunisti – è quella del dogmatico intollerante che si crede l’unico possessore della verità unica e dell’unico valore morale. Gli avversari per lui non sono soltanto della gente che la pensa in maniera diversa da lui, ma dei pazzi, degli scellerati, piuttosto un miscuglio di pazzia e di scelleratezza. Ora, ad un pazzo si mette la camicia di forza; un delinquente, lo si consegna alla forza pubblica, lo si chiude in prigione, o, se tutto ciò non si può fare o non basta per proteggere sene, lo si rende innocuo magari uccidendolo. La mentalità del dogmatico intollerante è precisamente l’opposto della mentalità liberale, che non riconoscendo un verità bell’ e fatta, una volta per sempre, data in custodia a pochi privilegiati, ammette come legittima ed inevitabile la differenza di opinioni, il contrasto delle idee, dalla cui lotta uscirà la decisione” (**).
Il ministro Sangiuliano, noto analfabeta politologico, lancerà prossimamente a Roma una mostra dedicata ad Antonio Gramsci. Altro brutto segnale.
Gramsci, che fu imprigionato dal fascismo, non era un agnellino riformista, ma un rivoluzionario duro e puro. Le sue pagine, pur ricche di spunti, rivelano quella mentalità dogmatica e intollerante ben ricostruita da Luigi Salvatorelli.
Insomma un militante, Sangiuliano, che ha le stesse radici missine della Meloni, zarina dei militanti, celebra un altro militante, Gramsci, con radici ideologiche diverse ma altrettanto velenose. Diciamo pure una bella rimpatriata.
Conclusioni? Non finirà mai. O se finirà, finirà male un’altra volta.
Carlo Gambescia
Foto di copertina: Nicola Bombacci (1879-1945)
(*). “Il Messaggero”, capofila, da sempre, del conformismo filogovernativo, ora è diventato meloniano, anche nelle sue penne migliori. Si veda qui: https://www.ilmessaggero.it/politica/l_applauso_berlinguer_riporta_un_altra_politica_quel_rispetto_nemici-8085948.html?refresh_ce .
(**) Luigi Salvatorelli, Nazionalfascismo (1923), Einaudi, Torino 1977, p. 66. Un saggio illuminante.