domenica 12 marzo 2023

Papa Francesco, dieci anni di pontificato

 


Se si interpellasse uno storico “neutrale” della Chiesa Cattolica sui dieci anni di pontificato di Papa Francesco, non potrebbe ignorare l’oggettivo spostamento a sinistra della Chiesa .

Un processo che risale al breve ma incisivo pontificato di Giovanni XXIII. Però, a dire il vero, l’apertura verso le conquiste, soprattutto politiche della modernità, rinvia alla fase iniziale del pontificato di Pio IX, quando un preparatissimo liberale guizotiano, Pellegrino Rossi, venne chiamato dal Papa a cavalcare la tigre del 1848 in chiave saggiamente riformista. Rossi venne invece ucciso dai repubblicani con un colpo di pugnale che ne recise la giugulare. Pio IX, in preda a furori uterini, fuggì a Napoli. Quando tornò, fu reazione pura e semplice.

È un bene o un male lo spostamento a sinistra della Chiesa negli ultimi sessant’anni? Dipende.

Intanto che significa spostamento a sinistra? Condividere le battaglie della sinistra su tre temi come l’uguaglianza, l’ecologia, il pacifismo.

Si dice che Francesco sia molto amato dai laici, in particolare quando atei. All’opposto non incontra il favore di conservatori e reazionari.

I reazionari auspicano il Papa-Re, senza alcuna remora verso il pericolo di riaprire conflitti pre-moderni tra stato e chiesa: diciamo che si evoca il ritorno a Pio IX, “fase due” (non la “uno”, quella pseudo liberale), figurarsi perciò una “svolta a sinistra”.

I conservatori invece puntano su una chiesa capace di opporsi a quella che viene definita la morale libertina dei costumi post-moderni. I conservatori accettano la modernità ma ne respingono le caramellose implicazioni del cosiddetto pensiero debole post-moderno.

Nel primo caso (“svolta” a sinistra), la Chiesa Cattolica rischia di confondersi sempre di più con un mondo laico, capace di solidarietà ma sordo alla trascendenza. Nel secondo (scelta reazionaria), rischia di ridursi a pura testimonianza settaria, funzionale a una visione del trascendente abbarbicatasi su un grumo di valori clericali. Nel terzo (scelta conservatrice), di tramutarsi in una specie di guardia svizzera della modernità, chiudendo un occhio su certo volgare materialismo da nuovi ricchi.

Come si può capire lo spazio di manovra è molto ridotto. Ogni scelta comporta perdite. E non solo sul piano del rapporto tra società e trascendenza della società verso più elevati valori, eccetera, eccetera. Come del resto ha mostrato l’abbondante bibliografia sui processi di secolarizzazione. Letteratura per certi aspetti sopravvalutata.

Il vero problema della Chiesa Cattolica, la cui crisi si apre proprio con la Riforma protestante (alle origini delle successive rivoluzioni democratiche), rinvia alla sua formula politica, anzi diremmo sociologica, che è di tipo aristocratico, in totale disarmonia, con la formula democratica.

Di conseguenza, più la Chiesa si apre al mondo, più muta la sua costituzione interna. Per contro, meno si apre, più resta fedele a se stessa, alla propria costituzione, ma non al mondo che cambia.

Non a caso abbiamo citato Pio IX, per così dire, “fasi” uno e due. Da allora trovare un equilibrio tra costituzione interna e mondo esterno si è rivelato un compito molto difficile. Dal momento che il tentativo di evitare i pericoli del progressismo e del conservatorismo (per non parlare delle tentazioni reazionarie) impone il possesso in ogni papa di doti politiche non comuni. Alcuni hanno mostrato di possederle, altri no. Inutile fare nomi.

Ciò però significa che a proposito di Papa Francesco la vera domanda è un’altra. Il Papa nei suoi dieci anni di pontificato ha mostrato di possedere tali doti?

La risposta ai lettori.

Carlo Gambescia

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