giovedì 23 marzo 2023

Mimì Meloni e Gegè Bonelli

 


Nonostante il titolo possa apparire scherzoso (poi però il lettore capirà nella chiusa), l’asserzione che stiamo per fare è seria, politologicamente seria.

Nell’ analisi delle tendenze politiche non bisogna mai perdere di vista le questioni essenziali. Che a volte si scoprono soffermandosi sui dettagli.

Si prenda, ad esempio, lo scontro alla Camera di ieri, tra Giorgia Meloni e Angelo Bonelli. Oggi la destra giornalistica scrive, usando un’ evocativa terminologia da stadio, di come la Meloni abbia “asfaltato” Bonelli. E quella di sinistra recrimina sulla sua “mancanza di stile”, con altrettante veemenza.

In realtà, sull’Adige in secca, la leader di Fratelli d’Italia la pensa come il parlamentare dei Verdi.

Nel senso che prima collega un fenomeno stagionale, per quanto serio, alla mitologia catastrofista di natura epocale (“Sì, è vero, è un problema”), per poi catapultarlo, con la battuta sul “non sono Mosé”, sulle sinistre che hanno governato in precedenza (“Tutto quello che non è stato fatto prima”).

Pura retorica, anche di bassa lega: non si deride mai  un deputato, anche quando cade nel patetico,  sollevando un sasso, come dice, raccolto nell’Adige… Ma questa, della derisione, è un’altra storia. Che affonda le radici nell’antiparlamentarismo della destra neofascista verso un’istituzione liberale, da sempre accettata obtorto collo.

Pura retorica dicevamo, che serve a oscurare il fatto che sulla famigerata idea di “transizione ecologica”, Bonelli e Meloni sono d’accordo: perché condividono, ripetiamo, la stessa irrazionale e illiberale mitologia catastrofista, così cara agli ecologisti di destra e sinistra.

Perciò quando la destra giornalistica, parla di Meloni che “asfalta, eccetera, eccetera”, si ferma sul dettaglio. Perché non aiuta le gente a capire che il nodo essenziale del problema, caro a ogni vero liberale, è che “questa” destra e “questa” sinistra, comunque vada, nei prossimi anni ridurranno i nostri spazi di libertà. Come? Puntando su similari politiche stataliste, figlie legittime di una comune visione del nostro futuro da film apocalittico.

Non solo. La cosa ancora più grave è che si proseguirà nella non costruzione di dighe, bacini idrici, canalizzazioni. E per quale motivo? Per risparmiare fondi da investire in improbabili “Piani Mattei”, per difendere la “Nazione” dai migranti (la destra), oppure per evitare che si deturpi il paesaggio e si perda il treno per la decrescita più  o meno  felice  (la sinistra).

In realtà, la carenza idrica, oltre alle ragioni congiunturali, rimanda a una questione strutturale, realmente strutturale: quella della mancata privatizzazione che avrebbe invece favorito gli investimenti privati in un settore a corto di capitali.

Si dovrebbe riflettere su un dato semplicissimo. Che ormai siamo al punto, che basta un nulla per innescare una crisi, che non è dovuta all’Armageddon ecologica prossima ventura, ma a uno statalismo che si è avvitato su stesso: non fa e non vuole che facciano i privati.

Detto altrimenti: la pretesa, comune alla destra e alla sinistra, di mantenere il predominio della mano pubblica nel settore, si tramuta in immobilismo e in siparietti parlamentari come quello di ieri tra Giorgia Meloni e Angelo Bonelli.

Usiamo questo termine per  una precisa ragione. Nei vecchi varietà, tra un numero e l’altro, per consentire i cambiamenti di scena, si intratteneva il  pubblico, spesso rumoreggiante, con brevi numeri comici, dei “siparietti”, perché si tenevano sul palcoscenico, davanti a un sipario più piccolo e leggero.

Ecco, ieri, e lo diciamo a malincuore  per il rispetto che nutriamo verso le istituzioni parlamentari, si sono esibiti a grande richiesta, tra un numero e l’altro della crisi politica italiana, Mimì Meloni e Gegé Bonelli...

A questo siamo ridotti. Che tristezza. 

Carlo Gambescia

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