Anche Maurras era pacifista, anzi come si diceva all’epoca neo-pacifista. Lui, nazionalista integrale, antisemita, nemico del liberalismo, non voleva la guerra con la Germania hitleriana. Poi finì nelle braccia di Hitler e degli occupanti nazisti. Collaborò, insomma, con gli aguzzini franco-tedeschi di Vichy. E dopo la guerra, una volta processato, si salvò dalla fucilazione perché vecchio e malandato. La Francia fu clemente, però lo mise in carcere.
Quando pensiamo alla penosa sorte dei nazionalisti francesi, non possiamo non pensare agli intellettuali di estrema destra – tra questi Marcello Veneziani – che, dopo aver trascorso una vita a incensare il modello dell’eroe romantico nobilmente sconfitto dai nemici della patria, capace di battersi fino alla morte, anche contro un nemico preponderante, ora che fanno? Implorano la pace, perché, come scrive Veneziani, "la guerra non giova al popolo ucraino, anzitutto martoriato e devastato nella carne, nello spirito, nelle case, nelle città..." (*).
Per inciso, negli ambienti delle destra missina, prima dello sdoganamento berlusconiano, fece furore un suo articolo intitolato proprio “Nobiltà della sconfitta”, in cui si assolvevano i fascisti, avanti e dopo la guerra, eroici esuli in patria, battutisi in pochi, in un paese di vigliacchi, contro l'accerchiamento anglo-americano.
Come Veneziani, evocano la pace, anche Buttafuoco e Cardini, non con Hitler come Maurras, ma con Putin, che non è Hitler, ovviamente, ma resta un nostalgico del panslavismo, in accesa chiave panrussista, malattia politica non certo innocua. Probabilmente, dopo settant’anni, i tre ferrivecchi neofascisti sperano nel 2 a 0 a tavolino. Intanto, cedendo a Putin l’Ucraina. Perché morire per Danzica? Perché morire per Kiev? Per parafrasare Marcel Déat, altro “collabò”, salvatosi per un pelo dalla fucilazione.
La contraddizione del nazionalismo, o sovranismo come oggi si chiama dopo riverniciatura, è di inneggiare alle maniere forti, per poi calarsi le brache, appena si tratta di fare sul serio. Veneziani e sodali hanno la stessa mentalità culturale degli uomini politici di Vichy. E in questo senso, piaccia o meno, sono potenziali collaborazionisti dei russi, quando e se vincitori in Europa. Esiste perciò il pericolo (intellettuale per ora) di un’ Italia di Vichy. I quadri, per quanto impolverati, esistono. E vanno oltre i tre nomi ricordati.
Esageriamo? Decida il lettore.
Però prima si rifletta. Veneziani, Cardini, Buttafuoco alla fin fine sono degli abitudinari borghesi della decadenza, dal buon tenore di vita, annoiati come Drieu la Rochelle ad esempio (che però a differenza di Maurras, venne fucilato), che giocano al culto dell’uomo forte. Non hanno altri problemi, se non quello di baloccarsi con gli scenari geopolitici, veri e propri oroscopi delle nazioni. Ora è il turno di Putin, forse baciato dalle stelle della geopolitica eurasista. Come ieri fu quello hitleriano del “Reich millenario”.
Altro che “popolo ucraino martoriato”…
Carlo Gambescia
(*) Si veda l’editoriale di oggi su “La Verità”.
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