Non abbiamo ancora approfondito l’opera di Manlio Graziano (nella foto), professore di geopolitica a Parigi. Però, se il buon giorno si vede dal mattino, il suo editoriale su “Domani” (*) non è sicuramente di stimolo alla lettura dei suoi lavori.
Per quale ragione? Da quel che abbiamo capito il professore si è consacrato da anni allo studio del rapporto tra panico, diciamo anche stati di ansia e angoscia collettivi, e geopolitica. Tema in sé interessante, se approcciato con obiettività scientifica. E da quel che abbiamo letto, non sembra essere il caso di Graziano.
Il panico non si taglia in due con il coltello. Non esiste un panico buono come non esiste un panico cattivo. Il panico è panico. Punto e basta.
Graziano non sostiene esplicitamente questo nel suo articolo. Però ecco il punto: glissa sul panico da catastrofismo fiscale, ma non su quello da catastrofismo militare; sorvola sul panico da catastrofismo sanitario, ma non su quello da catastrofismo anticapitalista; tace sul panico da catastrofismo ecologista, ma non quello da catastrofismo razzista, e così via.
Mentre per chi scrive pari sono. Dal momento, che se esiste un meccanismo sociologico, basato su una visione catastrofista, che porta all’anomia sociologica e all’inorientamento psichico, cause a loro volta, di sconvolgimenti geopolitici, vale per ogni tipo di catastrofismo-allarmismo.
Un passo indietro. Con il termine catastrofismo intendiamo la tendenza a formulare previsioni pessimistiche, con particolare riferimento al contesto morale politico, economico, culturale, climatico eccetera. Diciamo che se non è proprio sinonimo di allarmismo, ben si accompagna a questo fenomeno come tendenza ad allarmarsi o ad allarmare, al punto di creare un clima di tensione sociale, politica, economica, eccetera. Detto altrimenti, il catastrofismo induce all’allarmismo, e l’allarmismo non può fare a meno del catastrofismo.
Ciò significa che la legge di Thomas, se tale, quando insegna che se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze, deve valere per ogni comportamento sociale. E non a singhiozzo.
Nell’editoriale di Graziano c’è un passaggio rivelatore del suo doppio registro cognitivo. Per dirla alla buona, del due pesi, due misure. Si legga qui:
“Da panico nasce panico: la corsa agli sportelli a ritirare soldi e azioni è uno spettacolo ormai familiare (…), finché si può, si continua a ballare al ritmo dell’orchestra del Titanic, poi, quando ci si rende conto che molti dei privilegi che avevamo accumulato negli anni si stanno dissolvendo, il panico dilaga”.
“Privilegi”. Ecco la parola magica.
Per Graziano i diritti di investire, comprare, consumare liberamente sono privilegi. Una forma di ineguaglianza. Nel senso di una posizione di vantaggio immeritata, di noi occidentali sugli altri popoli del mondo.
Insomma, storie di ordinario antiliberalismo, anticapitalismo, antioccidentalismo.
Dispiace dirlo, ma nel pensiero di Graziano la propaganda politica sembra prevalere sull’obiettività scientifica.
Carlo Gambescia
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