La polemica sulle registrazioni dei figli di coppie omogenitoriali (gay, per capirsi), non rimanda alle presunte intrusioni dell’Ue in Italia, come sostiene la destra, o all’ imposizione del modello Ungheria, come proclama la sinistra. I veri punti sono altri. Anzi il punto.
Sfidiamo destra e sinistra ad essere coerenti su quella difesa dei diritti individuali, alla quale entrambe si appellano di continuo e con stile antipatico e ampolloso al tempo stesso. Danno veramente sui nervi.
Qual è allora il vero punto? La Costituzione italiana. Che non è la più bella del mondo. Ma probabilmente tra le più lunghe. E ciò non è bene. Perché siamo dinanzi a una Costituzione che pretende di regolare, come un professore in cattedra, persino i “rapporti etico-sociali”. Cioè di interferire, e pesantemente nel privato degli individui. O meglio in quella zona di confine, delicatissima, tra morale e società, confondendo la morale, che è fatto privato, con il sociale, che è un fatto pubblico.
Si prenda la famiglia, alla quale la Costituzione dedica addirittura tre articoli del Titolo secondo (“Rapporti etico-sociali”, per l’appunto…). Che detta? In particolare qui interessa il primo comma dell’articolo 29.
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”.
In quel “naturale”, che ogni politico interpreta in modo differente, si addensano, quando la legge si fa inevitabilmente amministrazione, le nubi del prefetto, più realista del re, che vieta le registrazioni: regolarmente elogiato dalla destra conservatrice e condannato dalla sinistra progressista.
Basterebbe far cadere il termine “naturale”, fonte di infinite polemiche e inutili battaglie legislative, per evitare che i prefetti vietino, la destra applauda, la sinistra condanni. E che ogni famiglia, senza qualificazioni di sorta, registri tutti i figli che desideri. Punto e basta.
Perciò l’articolo 29 potrebbe essere riformulato così:
“La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società fondata sul matrimonio”.
Un vero legislatore liberale – a parte il fatto che ridurrebbe la Costituzione italiana a pochissimi articoli – di questo dovrebbe occuparsi. Dei liberi fondamenti del discorso pubblico.
In quale senso? Che non può essere libero un discorso pubblico fondato su parole magiche, come il termine “naturale”. Sul quale esiste una letteratura (scientifica o meno) che fa paura per l’ampiezza e per la diversità delle teorie e delle opinioni.
Ma c’è anche un’ altra ragione, ancora più importante. Si eviti di legiferare troppo, a cominciare da una Costituzione lunghissima. Si lasci che l’individuo si occupi del proprio bene, senza imporre i famigerati lacci e lacciuoli, frutto velenoso della pretesa di sapere, dall’alto, cosa sia bene per ogni individuo. Lasciar fare, lasciar passare. Soprattutto in una sfera intima come quella del decidere con chi e come trascorrere la propria vita.
Ma perché Costituzione, Stato, Partiti (tutti con la maiuscola sociologica) devono preoccuparsi della vita privata degli individui? Qui, ripetiamo, il vero punto.
Se la destra sembra essere sorda, la sinistra non pare da meno. Non serve alcuna legislazione speciale. Non occorrono altre leggi, ma semplicemente basta far cadere una parola: na-tu-ra-le. Qui non si tratta solo dei diritti gay, ma dei diritti di libertà di tutte le persone: di sposarsi, di registrare figli, senza chiedere permesso a nessuno. Basta con le gabbie giuridico-sociali! Vere forche dei diritti individuali erette dal welfarismo protezionista! Cattolico o laico che sia!
Si dirà che la sinistra non ha i voti sufficienti per farlo. Giustissimo. Ma come mai ogni volta che ha governato si è sempre ben guardata dall’usare le forbici?
Purtroppo quel che manca in Italia è una vera maggioranza liberale, a destra come a sinistra. Che malinconia.
Carlo Gambescia
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