venerdì 24 marzo 2023

Migranti, una ricetta sociologica

 

 Migranti. La prendiamo da lontano. Il lettore abbia pazienza.

La sociologia autentica, non la sociologia contraffatta, per capirsi quella che si è trasformata in braccio ideologico dei servizi sociali… La sociologia autentica, dicevamo, asserisce che sulle basi dell’evidenza scientifica ogni scelta politico-sociale non è mai esente da costi e ricavi morali ed economici.

L’azione politica, come perseguimento di un obiettivo collettivo implica sempre, anche nell’ambito della più accurata mediazione politica, una redistribuzione di costi e ricavi economici, redistribuzione che porta con sé una redistribuzione dei costi e ricavi morali.

Detto in altri termini: un governo, non può accontentare tutti i cittadini e soprattutto tutti i cittadini nello stesso momento. La perfezione non è di questo mondo. Qualunque decisione sia presa, esisteranno sempre dei “margini di scontentezza”, le cui dimensioni dipendono dalle dimensioni della lealtà e della fiducia dei cittadini verso il governo, lealtà e fiducia, che a loro volta, dipendono dalla gravità scalare delle divisioni ideologiche

Quanto detto può sembrare perfino banale. Però ci aiuta a capire un aspetto sociologico fondamentale di ogni politica governativa: che quanto più un “governo governa”, tanto più i margini di scontentezza politica fluttuano verso l’alto o verso il basso, ma purtroppo fluttuano. Il che inevitabilmente influisce sui tassi di incertezza sociale, nel senso che le fluttuazioni producono nell'individuo  esitazioni e titubanza. Un disorientamento decisionale  che  non facilita il funzionamento di quei preziosi meccanismi dello scambio sociale ed economico che nascono dalle interazioni individuali.

L’aspetto paradossale che non è colto dalla “sociologia braccio ideologico dei servizi sociali”, è che più un “governo governa” più le dinamiche economiche e sociali diventano incontrollabili, perché crescono i margini di incertezza, le divisioni ideologiche, eccetera, eccetera. Insomma, si ottiene l’effetto contrario.

Si prenda un fenomeno sotto gli occhi tutti come quello migratorio. Più si tenta di governarlo, più diventa ingovernabile, Dal momento che ogni decisione politica, di aprire come chiudere al migrante, divide, e ogni divisione rende ancora più complicate le successive decisioni che devono fare i conti con le decisioni precedenti, dando così vita a un quadro contraddittorio dettato da una selva di misure contrastanti e di casistiche sempre più minuziose e ingovernabili, quindi incontrollabili, sotto il profilo organizzativo e ideologico.

Che fare allora? Governare il meno possibile. Meno stato, se si vuole.

Proprio ciò che non accade, perché l’ideologia dominante e la credulità della gente comune tendono ad attribuire al governo poteri quasi magici. Sicché, per tornare alla questione dei migranti, più ci si illude di poter controllare un fenomeno, tra l’altro di per sé fluttuante come insegna l’instabilità previsionale  dei tassi demografici, più si favorisce la  reale  fluttuazione dei “margini di scontentezza”, come provano le politiche migratorie degli ultimi trent’anni.

Oggi l’Italia è più divisa e titubante che mai, non tanto perché in ambito migratorio non si è deciso e regolamentato,  ma perché si è deciso e regolamentato troppo, sia in termini di aperture che di chiusure, scontentando così, di volta in volta, tutti i cittadini.

Inoltre l’errore più grave che si è commesso resta quello di non avere spiegato al cittadino l'abc di una realistica  sociologia delle istituzioni pubbliche.  E in cosa consiste?   In una semplicissima verità:  che lo stato non è la soluzione ma il problema. I processi sociali, a cominciare da quelli migratori, non possono non avere un costo, per tutti: per i migranti come per i cittadini.

Non esistono soluzione perfette, ma possibili. Perciò si tratta di pazientare, sopportare conflitti e distonie, senza allarmismi di qualsiasi tipo (buonisti o cattivisti),  nell’attesa che non lo stato occhiuto  ma  il “setaccio sociale”,  nel bene come nel male, faccia il suo dovere, trasformando i costi in ricavi, cioè includendo i migranti  più capaci ed escludendo i meno capaci. In altri termini, quel che  non si deve fare è confondere i capaci con i meno capaci, come proclama la sinistra in nome del welfarismo, oppure impedire ai capaci di mettersi alla prova, come pretende la destra in nome del razzismo.

Ripetiamo, lo stato non è la soluzione ma il problema. Si dirà, ma allora qual è la ricetta sociologica corretta?

Si permetta al migrante di venire in Italia e in Europa, liberamente, attraverso le vie ordinarie, senza dover rischiare ogni volta la morte in mare, lasciando poi che siano i meccanismi di selezione sociale a decidere dell’integrazione o meno e non il buonismo o il cattivismo di stato.

Carlo Gambescia

 

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