Perché non concedersi una tregua? Basta pensare alle guerre. Come però? Leggendo, oppure sfogliando, magari soffermandosi qui e là, Per conoscere Federico Fellini. A Cinema Greatmaster ( testo bilingue, con foto, Edizioni Il Foglio, pp. 306, euro 15).
Un piccolo gioiello cesellato da quella specie di Zeman dell’editoria e della scrittura, che risponde al nome di Lupi Gordiano da Piombino. Uno che non viene da Nazareth, per citare Agroppi Aldo, altro mito ma calcistico di Lupi. Quindi non un Cristo del XXI secolo, come fu per il XIX – anche noi abbiamo studiato – il principe Myškin immortalato da Dostoevskij.
Chi era Fellini? Secondo Lupi un realista magico, capace di coniugare la realtà delle cose con l’anima delle cose. Un mago con i piedi per terra. Si guardi attentamente la magnifica scelta di foto che valorizza il libro:ritroviamo il Fellini trasognato, sornione, voglioso, concentrato, vitale, assonnato, preoccupato, ludico,ipnotico, circense, ilare, ufficiale, ufficioso, perfezionista, dubbioso, inquieto, stanco e così via.
Una volta chiuso, ci si chiede, come accadeva, dopo la visione di un suo film, all’uscita del cinema tra le sciabolate di luce: “Ma che ha detto Fellini?”. Si tornava all’aperto con una specie di caleidoscopio cerebrale di immagini, frasi, situazioni: un mare in tempesta, lampi, tuoni, onde altissime. Poi la quiete, la bonaccia, i gabbiani, la risacca, gli ossi di seppia. Dopo di che all’improvviso, di nuovo lampi, tuoni e così via.
Probabilmente, Fellini creava, ma forse neppure lui sapeva come e perché. Tra l’altro le foto ci restituiscono anche un Fellini in trance…
Comunque sia, andrebbe seriamente studiato, e Lupi qualche buona traccia la offre. Ma come studiarlo? Separando, con un colpo di spada, il Fellini, autore e regista, dal “Fellinismo” degli interpreti. Da coloro che corrono dietro al gelatinoso blob delle classificazioni cinefile.
Non sappiamo, e forse non sapremo mai, come Fellini visse la sua arte. Il problema interpretativo, se proprio così deve essere, consiste nello studiare Fellini attraverso i suoi film. Per usare un’ immagine: evitando di farsi trasportare, anticipando il giudizio, dalle colonne sonore dei suoi film, soprattutto i più famosi. Bellissime musiche di Rota, ormai però standardizzate, quasi un riflesso pavloviano. Non c’è più bisogno che appaia Fellini: per la salivazione del cane cinefilo, basta la musica paracircense.
Fuor di metafora: Fellini non è una colonna sonora. Quindi un qualcosa che si possa classificare. Certo, Fellini è “anche” una colonna sonora, ci mancherebbe.
Come scrive giustamente Lupi: “Per un fruitore di cinema basta un Fellini sublime mentitore che tira fuori dalla propria realtà la materia grezza per costruire grandi pellicole con frammenti di irrealtà”. Un unicum, insomma. Un semidio a rate, però della potenza immaginativa. E le rate sono i suoi film. Che vanno studiati come tali. Senza sopravvalutare questo o quell’elemento della sua poetica (per parlare difficile).
Concludendo, questo magnifico libro fotografico ci restituisce il ritratto di uno straordinario venditore di enciclopedie dell’anima umana, che viene da Rimini, non da Nazareth.
Carlo Gambescia
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