Angelo Panebianco ha dedicato un notevole editoriale (*) al concetto di “guerra per procura”, impiegato polemicamente da filorussi e pacifisti per ragioni ovviamente diverse: i primi per dipingere gli ucraini come burattini americani, i secondi per incrementare il principio, esteso a russi e americani, del ” tutti i guerrafondai pari sono”.
Invece a suo avviso le guerre per procura non esistono. E di conseguenza a tenere i fili delle guerre locali non sarebbero “i pupari”, le grandi potenze, ma le forze locali. Che, secondo una reale pressione dal basso (e non dall’alto), imporrebbero alle potenze maggiori di intervenire, quindi accodarsi, eccetera,eccetera.
Pertanto, queste le sue conclusioni, l’aggressione russa all’Ucraina non sarebbe una guerra per procura dell’Occidente contro Mosca, ma una guerra locale, scatenata dai russi, che ha coinvolto l’Occidente. Che ha fornito armi che però non sarebbero servite a nulla senza lo spirito di resistenza dell’intero popolo ucraino al tentativo russo di “schiavizzarlo”.
Sicché, in ultima istanza, metodologicamente – tra l’altro Panebianco ha pubblicato notevoli studi in argomento – non sono i governi a decidere (le élites), ma i popoli (le masse). E sull’onda di reazioni coesivo-emotive. In politica internazionale perciò l’attore principale, decisivo se si vuole, sarebbe il popolo, o comunque la pubblica opinione, e non il governo.
Siamo davanti a un elegante tentativo di coniugare democrazia (la spinta sovrana dal basso) e scienza politica (ricerca delle regolarità) sulla base di una teoria emozionale dell’uomo ancorata, dal punto di vista delle reazioni compositive (collettive), a un residuo (ciò che psicologicamente non muta) tipico del comportamento sociale dell’uomo.
Un residuo che Pareto denominava persistenza degli aggregati: non si vuole sparire, si vuole continuare a esistere, con i propri cari, amici, colleghi, cittadini, eccetera. Un residuo che si nutre anche di un elemento di territorialità, ravvisato, sempre per dirla con Pareto, nella persistenza delle relazioni con i luoghi e dei viventi con i morti.
Come si può intuire, condividiamo l’impostazione di Panebianco, che abbiamo qui sviluppato ricorrendo a Pareto.
Però il punto metodologico è che la tesi della preminenza dei popoli, o delle pubbliche opinioni, sui governi, va estesa anche agli aggressori, che iniziano guerre, come giustamente sostiene Panebianco, che non sono mai per procura.
Il che significa, per tornare all’aggressione russa, che anche dietro Putin, come del resto alle spalle di Zelenski, c’è un popolo. E di conseguenza, stando questa volta alle tesi del Cremlino, l’aggredita, a livello di pubblica opinione, sarebbe invece la Russia, costretta a difendersi attaccando per non essere divisa “spezzettata”, eccetera, eccetera. E qui torna il paretiano concetto di persistenza degli aggregati. Anche i russi non vogliono veder morire i propri cari, quindi appoggiano il loro leader…
Come uscirne?
Dal punto di vista metodologico è impossibile. Dal momento che non c’è una regolarità che valga per le emozioni dei russi e un’altra che valga per quelle degli ucraini. Sul piano analitico la neutralità dei valori impone che, proprio perché tale, sia estesa a tutti i contendenti. La persistenza degli aggregati vale per i russi come per gli ucraini e di conseguenza anche per gli occidentali.
Dal punto di vista culturale invece il discorso è molto diverso. Perché, su questo piano, i valori liberal-democratici incarnati dall’Occidente euro-americano, che l’Ucraina condivide, sono diversi dai valori autocratici propugnati dalla Russia.
Esiste una potenziale frattura. Perché la persistenza degli aggregati da forma neutrale può assumere contenuti che non sono neutrali. Il che pone, per farla breve, una questione fondamentale: i valori politico-culturali occidentali sono moralmente superiori ai valori russi? Insomma, come distinguere, quando occorra, i buoni dai cattivi?
Chi scrive propende per la superiorità dei valori liberal-democratici (magari come peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre). Invece i popoli dell’Occidente, stando ai sondaggi, tentennano e di conseguenza anche i governi.
Qui tra l’altro risiede la differenza tra relativismo metodologico e culturale, tra scienza politica ed etica politica. Ma questa è un’altra storia.
Dei russi invece non si sa nulla. Ufficialmente seguono compatti il Cremlino. Cosa che potrebbe essere vera, considerata la tradizione di passività di quel popolo, anche se non si può escludere lo scossone improvviso.
Comunque sia, per tornare all’Occidente, se si tentenna sulla bontà dei propri valori, non si può fare la guerra e neppure la pace.
Qui è il vero problema. Purtroppo.
Carlo Gambescia
(*) Qui: https://www.corriere.it/opinioni/23_gennaio_29/non-guerra-procura-scelta-definitiva-kiev-df9578ae-a001-11ed-a89a-ab57ad67871c.shtml .
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