Nella notevole fiction sul generale Carlo Alberto dalla Chiesa, c’è un passaggio in cui il protagonista, battendo i pugni sul tavolo, si rivolge ai suoi uomini, che discutono di attenuanti sociali, con un “Basta con la letteratura, perché qui si fa la guerra al terrorismo, quindi torniamo a lavorare”.
Giustissimo, la letteratura andava lasciata ai giornali e alla politica. Un campo questo, in cui la sinistra intellettuale, che negli Anni Piombo civettava con la violenza di classe, eccelleva, evocando la buona fede dei terroristi.
La sinistra, in particolare quella italiana, dalle salde radici marxiste e leniniste (il buon Gramsci era ammiratore di Sorel e Lenin), ha sempre visto nella violenza un normale strumento della lotta politica. Di qui le giustificazioni, più o meno nobili, del terrorismo.
Lo stesso discorso si può estendere all’ estrema destra (mai stanca di ammirare il solo Sorel però). Una destra eversiva che giustificava il terrorismo come uno strumento difensivo contro la sinistra e il “Terrorismo di Stato”.
In qualche misura si era davanti a una saldatura politica,tra i due principali nemici storici del sistema liberal-democratico: comunisti e fascisti. La teoria degli opposti estremismi, però convergenti, aveva ed ha una sua fondatezza.
Sociologicamente parlando, quando si sviluppa il terrorismo? Nelle società avanzate – lasciando da parte altre tipologie – rinvia alle fasi successive alla crescita economica – come nell’Italia degli Settanta – quando scolarizzazione di massa e redistribuzione dei frutti del progresso sociale, saldandosi insieme, pongono la questione delle riforme sociali. In questo senso il terrorismo è il percorso scelto da coloro che rifiutano la tempistica riformista, ovviamente secondo varianti legate alle diverse tradizioni culturali.
Può sembrare curioso, ma nelle società avanzate è proprio il riformismo, che rinvia a un atteggiamento di apertura verso le richieste della “classe operaia”, a determinare l’insorgenza del terrorismo. Il potenziale terrorista non ha pazienza, né politica né sociale, e soprattutto rifiuta a priori di porgere l’altra guancia.
In Italia il terrorismo fu la risposta all’apertura a sinistra degli anni Sessanta e alle conseguenti misure sociali all’avanguardia per quei tempi. Lo Statuto del Lavoratori (1970), resta un modello di socialismo giuridico. Dopo di che però venne giù il finimondo.
Il che spiega la risposta del generale dalla Chiesa ai suoi uomini. In sintesi: “Non è porgendo a nostra volta la guancia che combatteremo il terrorismo”.
Ciò non significa che le riforme, quando ovviamente c’è qualcosa da redistribuire, non si debbano fare. Il conservatore intelligente, quando ne ha la possibilità, previene. Il punto è che nella psicologia del terrorista la benevolenza diventa un’aggravante, nel senso di un inganno, eccetera, eccetera.
Qui, passando all’attualità, vorremmo richiamare l’attenzione del lettore sui rischi che comporta il riformismo ecologista, sposato dalle classe dirigenti (quindi politiche ed economiche), non solo italiane. Un atteggiamento, ben oltre il civettuolo, che non ha alcuna giustificazione dal punto di vista delle risorse da redistribuire, perché al momento non ci sono.
Si rifletta: l’ecologismo, come il fascismo e il comunismo, riunisce in sé le caratteristiche ideologiche dell’antiliberalismo e dell’anticapitalismo. Si impone di trasformare radicalmente la società attuale. Per ora, pur con qualche avvisaglia, siamo sul piano delle manifestazioni pacifiche, semipacifiche, ampiamente tollerate se non addirittura incoraggiate da un ceto politico che asserisce di condividerne le finalità.
Il rischio, tipico della spirale terroristica, è quello del rifiuto delle riforme da parte dei movimenti ecologisti perché viste come tardive, ingannevoli, eccetera. E del conseguente passaggio all’atto. Ciò significa che non si può escludere l’insorgenza di un terrorismo ecologista sulla falsariga di quello che funestò gli Anni di Piombo.
Si dirà, ma allora le riforme non servono, tutto è inutile? Il riformismo ha senso quando non mancano le risorse da redistribuire, risorse materiale e immateriali. Se il riformismo, come nel caso della questione ecologica, non ha basi reali, perché frutto di una controcultura millenarista, il rischio è quello di innescare un fenomeno terroristico disconnesso dai bisogni reali. Un fenomeno che rinvia ai mostruosi anacronismi sociali economici incarnati dal terrorismo degli Anni di Piombo.
Inoltre, l’atteggiamento, del terrorista è quello del partito preso. Pertanto, per fare un raffronto storico, neppure uno “Statuto Verde dei Lavoratori”, sarebbe sufficiente a contenere la violenza insita nel rifiuto ecologista del modello di vita liberale e capitalista.
Purtroppo sembra che l’ecologismo sia ormai penetrato nella mentalità collettiva. In che termini è ancora difficile stabilire. Diciamo però che a livello di senso comune si tende a credere alla vulgata ecologista. Esiste una specie di sensibilità diffusa. E come insegna un famoso teorema sociologico, se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, queste sono reali nelle loro conseguenze.
Pertanto non c’è di che essere allegri. Riforme inutili potrebbero scatenare un terrorismo altrettanto inutile.
Carlo Gambescia
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