sabato 21 gennaio 2023

Povera Juventus

 


Sì, povera Juventus. Paga per la sua grandezza. Il calcio, di oggi, non è altro che la versione sportiva di una società ammalata di assistenzialismo e statalismo, una società che odia la ricchezza.

Ma anche, attenzione, povera economia di mercato. Ci spieghiamo.

Oggi il calcio è considerato, addirittura teorizzato, come un specie di diritto sociale del tifoso. Insomma, le società, a cominciare dalla serie A, non possono fallire ai sensi del Codice Civile, perché, si dice, i tifosi hanno diritto alla partita di calcio. Il calcio, appunto come diritto sociale. Sicché si è inventata questa illiberale e cervellotica normativa sulle plusvalenze per tenere a galla tutte le squadre (*).

Abbiamo semplificato, ma il succo del discorso non cambia. L’introduzione del calcolo delle plusvalenze sui cartellini, che, se negative, possono impedire l’iscrizione al campionato, rinvia a un limite politico fissato ad libitum dalla Federazione, da sempre, per chiudere il cerchio dello statalismo, in salde mani politiche.

Siamo perciò davanti a una forma di controllo pubblico dell’economia privata. Una specie di ricatto politico che limita le campagne acquisti e finisce per accrescere, come ogni forma di statalismo, le differenze tra le diverse società calcistiche. I nove scudetti di fila della Juventus sono la prova che i controlli pubblici sulle società rafforzano i più forti.

Certo, fino a un certo punto. Infatti, regna una specie di ambivalenza. Perché poi anche i ricchi piangono, come prova la sentenza di ieri. Ma il punto è che se una società deve crescere o mantenere le posizioni raggiunte viene costretta ad aggirare l’ostacolo. Per contro le società mediocri sguazzano tra regole e regolette. Che possono sempre opporre ai tifosi, perché così impone la Federazione, eccetera, eccetera.

Però, alla fine fine, in qualche misura, una volta finita la festa, il meccanismo, che ricorda la ricerca del capro espiatorio (la voglia di dare un esempio…), penalizza le grandi squadre per premiare le mediocri: la logica è quella del welfare state. Una mentalità culturale che la stragrande maggioranza dei tifosi accetta, per abitudine, per campanilismo, perché nessuno ha mai spiegato loro le virtù delle libertà di mercato, eccetera, eccetera.

Per capirsi, si pensi alla tesi fondatissima sull’ evasione fiscale provocata dall’ alta pressione tributaria. Ecco, le stesse conclusioni, valgono per la normativa sulle plusvalenze: troppo soffocante, di qui le inevitabili “evasioni” sui cartellini dei giocatori… Una forma di autodifesa. Diciamo, autodifesa del diritto di sognare. Detto altrimenti: in questo modo i bisogni delle burocrazie politiche finiscono sempre per prevalere sui sogni dei tifosi. Che neppure se ne accorgono… Dopo il danno anche la beffa.

Ci si interroghi, su un punto: se la squadra torinese, che non ha problemi di risorse, è costretta a truccare i bilanci per rafforzarsi, cosa ne è delle squadre con risorse minori? Che devono attenersi ai bilanci decisi dalle politiche pubbliche della Federazione?

Ripetiamo: in questo modo si premiano i presidenti mediocri che possono nascondersi dietro il surplus di regole dettate dalla politica. E non sono pochi. Sicché il diritto sociale alla partita di calcio si trasforma nel diritto di languire sempre nelle stesse posizioni in classifica. Per dirla alla buona, una presa in giro: come lo stato sociale che parla di sanità gratuita, ma con il ticket… La normativa sulle plusvalenze, non ci stancheremo  mai di ripeterlo,  uccide i sogni dei tifosi e dei presidenti motivati.

In realtà, basterebbe il Codice Civile. Dopo di che, per così dire, tana libera per tutti. Le squadre di calcio vanno lasciate libere di sognare e di fallire, quando esagerano. Ma ai sensi delle leggi vigenti. Quindi per ragioni squisitamente economiche. Non sulla base di cervellotiche normative sulle plusvalenze che si ispirano al controllo pubblico dell’economia privata.

Il punto della questione non è solo il tasso di moralità socialista del campionato di serie A. Oppure i proclamati i diritti sociali dei tifosi. Il vero nemico è rappresentato dalla logica dell’individualismo assistito.

Per capirsi: del tifoso ridotto a specie da proteggere. Insomma, dietro l’invenzione delle plusvalenze c’è la volontà ugualitarista – quindi socialista – di tagliare le ali alle squadre più forti. Lo stupido odio per la ricchezza che promuove solo la mediocrità generale e il potere delle burocrazie politiche.

Al posto della Juventus, invece di accampare scuse, punteremmo sulla nobile difesa del concetto di libertà di mercato, attaccando il disegno statalista e ugualitarista che si nasconde dietro la cervellotica normativa sulle plusvalenze. Se proprio si deve cadere, che si cada in piedi e con la spada in pugno.

Esiste un diritto di libertà, nel senso del diritto, ma anche dovere, se si amministra male, di fallire. Ma non un diritto di fallire sulla base di un comando politico, perché, come da mantra welfarista, esisterebbe un diritto sociale del tifoso-specie protetta, alla partita di calcio.

Attenzione, diciamo queste cose da tifoso della Lazio, quindi da proletario del calcio che avrebbe tutto da guadagnare da questa sorta di rivoluzione socialista delle plusvalenze.

In realtà, in noi parla soprattutto il liberale, liberale triste, che vede il gioco più bello del mondo ridotto a un baraccone che somiglia a una ASL.

Carlo Gambescia

(*) Sulla natura cervellotica del concetto di plusvalenza applicata al calcio si legga qui https://www.adnkronos.com/plusvalenze-juve-cosa-sono-e-perche-sono-diventate-un-problema_E3N0M0ezGyDScM5PBF4Ts?refresh_ce .

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