La prima cosa che infastidisce è lo sfruttamento, peraltro privo di basi storiche, della figura di Enrico Mattei: un tangentista, per sua stessa ammissione, che acquistava petrolio sottocosto dagli arabi. Concorrenza sleale e corruzione. Ecco chi era Mattei. Che aveva però un lato buono. Mattei aveva partecipato alla Resistenza, battendosi contro il nazi-fascismo. Cosa sulla quale la Meloni glissa, tutta intenta a lucidare i suoi scheletri in camicia nera neppure nascosti tanto bene nell’armadio.
La seconda è che l’Algeria non ha un profilo politico di amica dell’Occidente. Attualmente le sue navi incrociano nelle comuni esercitazioni quelle russe nel Mediterraneo. E per dirne solo un’altra: all’Onu l’Algeria si astenuta sull’aggressione russa all’Ucraina. Si dirà che gli affari sono affari, però l’Italia rischia di ritrovarsi un’altra volta a bocca asciutta e con un nemico dentro casa. Altro che Hub italiano verso l’Europa...
Purtroppo nel discorso politico di Giorgia Meloni – cosa che si può dire dopo i fatidici “primi cento giorni” – sono ben mescolati elementi retorici, di vittimismo e di voglia di rivalsa.
La retorica della “missione italiana”, idea che, una volta morto Mazzini, ha fatto solo danni.
Il vittimismo, di chi crede gli sia stato negato l’orgoglio di poter proclamare il suo essere dalla parte giusta della storia nel 1943-1945: antico psicodramma del mondo missino e aennino.
La voglia di rivalsa, nei riguardi di una sinistra, più colta, educata, quasi aristocratica. Per capire la differenza ideale si mettano, ad esempio, una accanto all’altra le figure di Giorgia Meloni e Giovanna Melandri. Certo, la sinistra spocchiosa può anche dare fastidio. Ma sempre meglio degli arruffapopoli senza arte né parte dell’estrema destra.
Anche perché dopo cento giorni di governo, al di là delle mezze misure e rinvii (superbonus) e dei passi indietro (decreto sui rave), non è emersa alcuna idea direttrice, non diciamo di tipo liberale, perché sarebbe chiedere troppo, ma neppure di destra conservatrice ma democratica. Facciamo solo alcuni esempi.
Sulla benzina la Meloni si è comportata come un governo di sinistra: ha crocifisso i benzinai. Altro che difesa del lavoro autonomo…
Sulla riforma Nordio della magistratura la Meloni nicchia. Il suo passato manettaro non depone a favore del Guardasigilli. La telenovela politica in corso potrebbe finire con le dimissioni dell’ex magistrato da ministro. Altro che “fiducia confermata a Nordio”…
Sull’ Ucraina, la Meloni si è ben guardata da un viaggio ufficiale: cosa che avrebbe dovuto fare immediatamente per lanciare un segnale forte al titubante Occidente. E invece? Sì, “vi siamo vicini”, però da Palazzo Chigi…
L’ unica cosa che Giorgia Meloni ha saputo fare è stata quella di perseguitare le Ong. E con una perfidia che lascia stupefatti.
Per ritornare infine sul gas, solo una cosa andrebbe fatta: varare un grande piano per la costruzione di centrali nucleari: ecco la soluzione dei nostri problemi. Ovviamente, aprendo ai privati, anche stranieri, e puntando su tecniche all’avanguardia, a zero rischi. Questo andrebbe fatto e proclamato al mondo. Altro che le chiacchiere ecologico-sovraniste da bar sport…
Certo, per costruirle servono anni (almeno dieci-quindici), quindi per l’immediato i problemi rimarrebbero. Però facciamo notare che il prezzo del gas è in caduta libera. Il mercato finisce sempre vendicarsi: il crollo della domanda ha influito sull’offerta. I russi rischiano di fare un lungo bagno caldo nel loro gas. Chi di “monocultura” ferisce (diciamo di una sola materia prima in vetrina), di “monocultura” prima o poi perisce. Però Giorgia Meloni crede negli spiriti animali del mercato? Anche qui servirebbe una risposta chiara.
Sul punto, per inciso, sarebbe interessante conoscere i costi dell’accordo con gli algerini: ci si augura che i prezzi finali non siano gli stessi – fuori mercato… – praticati da Mattei per recuperare i denari delle tangenti.
Insomma altro che a tutto gas… Dopo cento giorni Giorgia Meloni naviga ancora a vista tra retorica, vittimismo e patetico spirito di rivalsa.
Povera Italia.
Carlo Gambescia
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