Quanti hanno capito le intenzioni di Ettore Scola? Volontarie o involontarie quanto agli effetti finali, o forse tutte e due le cose…
In realtà, un film come C’eravamo tanto amati ha la carica propagandistica di una bomba atomica, apparentemente nascosta nelle pieghe popolaresche e divertenti della sceneggiatura agescarpelliana.
A questo pensavamo, ascoltando ieri sera – casualmente – “Hollywood party”, corazzata ideologico-cinefila di Rai Radio 3. Si riproponevano alcuni spezzoni audio del film, con i puntuali commenti – ideologicamente puntuali – del commissario politico di turno. Dopo di che, incuriositi, abbiamo cercato il film su YouTube, in particolare per leggere i commenti degli sconosciuti (per la cronaca, la nostra serata si è conclusa con un Re Lear televisivo del 1960 con un Salvo Randone strepitoso).
I commenti, quasi tutti, partivano da un’incomprensione della Resistenza e dall’accettazione, consapevole o meno, della vulgata comunista sulla Resistenza come “rivoluzione tradita”. Una truffa ideologica apprezzata anche dai compagni di strada azionisti, che però si ispiravano a Gobetti.
La visione di Scola, classe 1931, affonda le radici in una visione romantica del Pci, negli anni Quaranta accucciato invece ai piedi di Mosca. Di conseguenza la rivoluzione – piaccia o meno – senza il contrordine di Stalin, al momento sazio per essere arrivato all’Adriatico, si sarebbe conclusa, con la “liberazione” degli italiani, ad opera dell’Armata Rossa. Con tutte le tristi conseguenze del caso.
Ovviamente nel 1974, anno di uscita della pellicola, questo non si poteva dire per non offendere il Pci berlingueriano e per non farsi dare del fascista.
Uno Scola, che non nascondeva la sua fede politica, un po’ romantico, un po’ opportunista. Il concetto di “rivoluzione tradita”, che mutila ideologicamente la Resistenza, che fu fenomeno eticamente bello e politicamente complesso (ne facevano parte, liberali, monarchici, cattolici moderati e perfino conservatori democratici), rientra perciò in una prima lettura storico-politica del film.
La seconda lettura è ancora più ideologicamente interessante, perché consiste nello storicamente truffaldino collegamento della mancata rivoluzione al malaffare primorepubblicano.
Addirittura – sempre il commissario politico di cui sopra – liquida il Gassman-Gianni, prima partigiano poi maneggione, come un personaggio tipico degli anni Ottanta. Come a dire del peggiore decennio della storia repubblicana. Secondo il Pci, ovviamente. Quindi, Scola profetico, rivoluzione necessaria ma tradita, eccetera, eccetera.
L’operazione culturale è la seguente: 1) Si accetta la vulgata del Pci sulla Resistenza (“Solo noi siamo i buoni”); 2) Si squalifica tutta la Ricostruzione economica, sociale e politica (“Un pugno di ladri”); 3) Si mette il fieno in cascina – questo il compito del commissario politico – per screditare la storia successiva al 1974, a partire dagli anni Ottanta (“Maledetti socialisti craxiani”)
Al commissario politico di “Hollywood Party”, per sua ammissione, piacerebbe addirittura un seguito. Magari con la consulenza storica di Marco Travaglio e dei reduci delle monetine a comando.
Dicevamo, quanti hanno capito il messaggio di questo film? Una caratteristica degli italiani – per carità il nostro è un giudizio impressionistico – è di piangersi addosso e di scaricare le colpe sugli altri. E la sinistra cinematografica alla Scola, zitta zitta, è riuscita a intercettare questo narcisismo politico incrociandolo con la versione ufficiale del Pci sulla Resistenza.
Ci troviamo davanti – va riconosciuto – a una meravigliosa operazione politico-prapagandistica. Come dicevamo una specie di bomba atomica. Perché tutti coloro che hanno visto il film non si sono accorti del riduzionismo culturale e politico racchiuso nella pellicola. Riduzionismo che poi non era solo di Scola, in fondo un romantico, ma di una sinistra manichea che ha avuto modo in seguito di dare in peggio di sé, alimentando il pericoloso populismo culturale degli anni Duemila. Un populismo, sic vobis non vobis,perché ha condotto alla vittoria Cinque Stelle e tramutato il Partito Democratico in una sua succursale. E stando ai contenuti delle primarie non sembra demordere.
Ma è accaduto anche di peggio. Il clima politico, degenerato “nel signora mia è tutto un magna-magna”, per reazione, altrettanto riduzionista, ha favorito l’ascesa di Giorgia Meloni e condotto alla Presidenza del Senato un ammiratore del duce come Ignazio la Russa.
Le semplificazioni politiche non pagano mai, perché ne determinano altre di segno opposto. Perciò ridurre la storia politica italiana a un specie di confronto tra guardie e ladri è imperdonabile. È una truffa ideologica che si paga sempre cara.
Attenzione, C’eravamo tanto amati, resta, “tecnicamente” , un bel film, perché Scola indubbiamente era bravo. Però, volente o nolente, era anche un grande mistificatore, romantico ma mistificatore.
Carlo Gambescia
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