Matt Damon: “Trump? Bisogna aspettare che se ne vada”
Perché Hollywood odia Trump
“Trump non sta facendo nulla per l'ambiente. Sta solo distruggendo
quello che ha fatto Obama, pensa solo all'economia e a incrementare il lavoro.
Che si può fare? Aspettare solo che se ne vada”.
Così Matt Damon, strapagato ( e giustamente) divo di
Hollywod, in occasione delle presentazione di “Downsizing” a Venezia.
Pellicola dal profilo, of course, ecologista. Una scelta, oggi molto in voga, come
un tempo il comunismo, tra gli attori americani.
Damon, non è
solo. Da De
Niro all’ultimo dei comprimari, Trump è il più odiato in
assoluto tra i Presidenti. Perché?
Sulle ragioni dell’estremismo politico di Hollywood, indagò un
celebre economista Ludwig
von Mises, che una volta trasferitosi
negli Stati Uniti, per sfuggire agli artigli di Hitler, si accorse con
stupore che il mondo del cinema, acclamato
e miliardario, flirtava con qualsiasi forma di radicalismo politico, a
cominciare dal comunismo. E ovviamente si interrogò. Ecco la sua risposta:
“Sotto il capitalismo, il successo materiale dipende dal
gradimento delle realizzazioni di un uomo da parte dei consumatori sovrani (…)
Con lo spettacolo (…), la gente vuole il divertimento perché è annoiata. E
niente l’annoia quanto i divertimenti che già conosce: La diversità è
l’essenza dell’industria dello spettacolo. Gli spettatori applaudono di
più di quel che è nuovo,
cioè inaspettato e sorprendente. Essi sono capricciosi e irresponsabili.
Disprezzano ciò che avevano
amato ieri. Un magnate del palcoscenico o dello schermo deve sempre temere la
capricciosità del pubblico. Si sveglia ricco e famoso una mattina, e potrebbe
essere dimenticato il giorno dopo. Egli sa bene di dipendere interamente dai
capricci e dalle fantasie di una folla che desidera ardentemente l’allegria.
Egli è sempre in preda all’ansia (…). Ovviamente, non c’è rimedio contro ciò
che rende inquieti questi uomini di spettacolo. Essi devono perciò attaccarsi a
una pagliuzza. Alcuni di loro pensano che il comunismo li salverà. Non è forse
un sistema che rende tutti felici? Non è sostenuto da uomini molto illustri che
tutti i mali dell’umanità sono causati dal capitalismo e che saranno cancellati
dal comunismo? Non sono essi le stesse persone che lavorano sodo, compagni di
tutti gli altri lavoratori? (L.
von Mises, La mentalità
anticapitalista. Armando, Roma 1988, pp. 42-43).
Quanti ex comunisti
sono passati armi e bagagli all’ "attivismo" ecologista? Tanti, forse troppi. E per quale ragione?
Perché l’ecologismo è la continuazione, con altri mezzi, della lotta del
comunismo al capitalismo. Il che spiega le dichiarazioni di
Damon e al tempo stesso comprova le
tesi di Mises.
Qualcuno però si chiederà: come
mai, dal momento che Trump è uomo di spettacolo, non odia, come
i suoi "colleghi" il capitalismo? Se lo è, lo e per caso. Trump, soldi paterni o meno, di formazione è imprenditore nel ramo immobiliare. Insomma, non
appartiene organicamente all'industria dello spettacolo: il consumatore da cui dipende, è
altrettanto sovrano, ma, psicologicamente parlando, ad andamento lento.
Quindi l'ansia, anche se c'è, è meno forte. E poi spesso, si arriva al cinema
(dal produttore all'attore), dopo aver fallito in altri campi. Ci permettiamo
di aggiungere (andando oltre Mises), che negli attori la frustrazione anticapitalista,
viene da lontano. Sicché, l'industria cinematografica, con i suoi capricciosi
consumatori, ricorda, continuamente, al divo da dove è venuto e dove
potrebbe tornare.
Però - si dirà - anche Reagan era un attore, a
tutto tondo, eppure… Reagan, in verità, ai suoi tempi, fu
attaccato, altrettanto duramente, proprio perché considerato da Hollywood un
traditore: un attore
fallito che aveva scelto la
politica, dalla parte sbagliata. Poi Reagan, dimostrò di saper governare
ed entrò nel Gotha dei Presidenti più amati. Diciamo che Hollywood mandò giù
il boccone amaro. E da quello smacco non sì è ancora ripresa. Il che
spiega il livore di oggi.
Del resto Trump, sembra non essere all’altezza
neppure della controfigura di Reagan. Ma questa è un’altra storia…
Carlo Gambescia