Un articolo di Piero Visani sui gravi incidenti di Charlottesville
L'approfondimento del sociologo
Ieri ho ripreso sulla mia pagina Fb un eccellente articolo di Piero Visani (*), storico e polemologo, sui gravi incidenti di Charlottesville, dove, andando saggiamente oltre la polemica tra manifestanti di sinistra e suprematisti bianchi ( sulla liceità o meno di rimuovere, dopo circa 150 anni un monumento equestre dedicato al generale Lee, perché all’epoca proprietario di schiavi), si pone giustamente l’accento sul conflitto tra potere federale e potere degli stati.
Il fatto, che dietro la decisione di rimuovere il
monumento faccia capolino un sindaco democratico, non
significa che la questione sia locale e quindi estranea alle intrusioni del potere
federale. In realtà, la lotta ai monumenti dedicati agli sconfitti
della guerra civile, rientra nell’ambito di una strategia politica promossa dalla Washington liberal. Un disegno che scorge
nel politicamente corretto uno strumento verticistico per sconfiggere, o quantomeno contrastare, qualsiasi tentativo di riabilitazione dei valori del
vecchio Sud, giudicati anti-egualitari. E dove c’è un sindaco
liberal, o democratico, c’è il
politicamente corretto imposto da Washington. Insomma, l'ombra lunga di Obama (e di altri numerosi presidenti, non solo democratici) continua a proiettarsi sullo stesso Trump, che incespica, perché non sa, se ci si passa l'espressione, che pesci pigliare. Talmente è forte la presunta o reale "tirannia della maggioranza". Punto sul quale torneremo più avanti.
Attenzione:
il concetto "dei diritti degli stati", implica qualcosa di più grande e importante del
nazional-statalismo di matrice
europeo-hegeliana, perché rinvia al cuore ideologico della diatriba politica
tra Jefferson e Hamilton, che si basava sulla necessità di difendere la libertà del cittadino da un potere
politico, tanto più estraneo quanto più lontano geograficamente e
istituzionalmente dalla sua realtà
quotidiana. Semplificando (al massimo): Jefferson, era dalla parte degli stati,
e quindi del cittadino-agricoltore. Hamilton da quella del potere federale e
del cittadino-operaio. Il primo guardava a una società rurale, di agricoltori
indipendenti, il secondo a una società moderna e industrializzata.
Il
futuro era dalla parte di Hamilton. Nessuno lo nega (ci mancherebbe altro). Ciò però non toglie, ecco il punto, che il conflitto tra una società decentrata e
un società accentrata, pur assumendo di volta in volta forme storiche diverse,
dalle battaglia pro o contro la schiavitù a quella pro o contro il welfare e pro o contro il politicamente corretto, continui ad attraversare la storia americana.
Sotto
questo aspetto, i disordini di Charlottesville confermano che il conflitto è ben lontano dall’essere superato. E che, purtroppo, esso
è nelle “cose stesse” . E qui, si pensi alle enormi dimensioni geografiche degli Stati Uniti e al gigantesco individualismo innato
degli americani. Individualismo, che, considerato il forte spirito democratico che innerva la
società statunitense, non resta estraneo a due fattori al tempo stesso opposti e complementari: un forte spirito associazionista (positivo) che fa il paio con comportamenti "gregaristi" (negativi). Un conflitto, la cui soluzione, sempre temporanea, implica il conseguente uso di un forte
potere centrale, proprio in nome di quella tirannia della maggioranza, tipica delle società democratiche, scorta da Tocqueville. Forzature dall'alto, non sempre inutili (se si vuole restare uniti...), alle quali dal basso si risponde con colpi di coda, per così dire, "decentralisti" (quando si rischia di passare il segno...)
E' perciò vero, concludendo, come ha notato correttamente il lettore Carlo Gobbi, che la logica del “decentralismo” è sfruttata politicamente, attraverso l’uso di una retorica di parte. Il che però vale per tutte le retoriche "sbandierate" da tutte le forze, storicamente, in campo. Quindi anche per la retorica centralista. E, cosa ancora più importante, il contrasto retorico, nulla
toglie nulla aggiunge a una dinamica
sociologica e istituzionale, realissima, tra centralismo e "decentralismo", che va ben
oltre la decisione politico-retorica di rimuovere il monumento al generale Lee. E dalla evoluzione (o involuzione) di tale dinamica "fattuale", dipenderà il destino degli Stati Uniti, nonché, secondo alcuni osservatori, di tutti noi.
Carlo
Gambescia