giovedì 17 agosto 2017

 La donna romana  fatta e pezzi e gettata nel cassonetto
Quando dai commenti trasuda Schadenfreude 
( ovvero gioia per le disgrazie altrui)



Inutile illudersi, non  esiste il progresso morale: l’uomo è lo stesso da sempre. Può però essere tenuto a freno nei suoi comportamenti,  di volta in volta, dai costumi e dalle forme di deferenza ispirate a valori politici, morali,  religiosi che agiscono come strumenti di autocontrollo e disciplina sociale.  Tuttavia, il  nocciolo duro del suo comportamento è dettato dall’egoismo e dalla convenienza a rispettare o meno le regole. E come vedremo più avanti, dal piacere, più meno sottile,  per le disgrazie altrui, la Schadenfreude, come dicono i tedeschi.  
Ovviamente, non per tutti gli uomini è così. Come in tutti campi, anche in quello morale, esistono delle élites, mosse da principi superiori, autodisciplina, senso della responsabilità. Ma élites restano. Insomma, minoranze. 
A questo pensavamo, leggendo sui Social  i commenti   a un brutto fatto di “cronaca nera” (come si diceva un tempo),  accaduto a Roma:  la donna fatta a pezzi e gettata  nel cassonetto (*). Il tono generale  è distinto dall’irrisione: si guarda alla notizia, come occasione per fare battute più o meno spiritose.  Attenzione:  non ci troviamo dinanzi a commenti, come dire al di là del bene e del male, che certifichino indifferenza morale. Magari.  Sono l’esatto contrario,  si infierisce, con la consapevolezza di infierire.  Sono dalla parte male, programmaticamente.  Con sadismo.
C’è chi scherza sulla raccolta differenziata, sui romani che non la sanno  fare, sui Rom che “pescano” nei cassonetti, sulla Raggi, eccetera, eccetera. Inutile, segnalare, la violenza verbale,  rivolta contro quei pochi che provano  a ricordare agli altri commentatori  che un essere umano è stato fatto a pezzi.  Di regola, tra un insulto e l’altro, si risponde che è bene  “smitizzare”;  dire sempre quello che si pensa; mostrare di essere dotati di senso dell’umorismo.  Leggere per credere.
Pertanto, il problema, non è tanto  la tecnologia e neppure, come nel caso della Rete, il fatto  che sia alla portata di tutti, quanto la natura dell’uomo, che, se non toccato personalmente, avverte subito la Schadenfreude:  quel  provare piacere per le disgrazie altrui.
E qui veniamo al punto. La nostra cultura celebra l’autenticità,  che non è altro che una forma di primitivismo sociale. Sicché risulta  priva  di quei  modelli  di  deferenza sociale, che in qualche misura si fondano sulla reticenza, sul non dire tutto quel che si pensa, come strumento di rispetto dell'altro e prolungamento della pace sociale. La civiltà è celebrazione delle buone maniere sociali: l'esatto  contrario del primitivismo.   
Una cultura, la nostra, dicevamo,  dove, di conseguenza,  l’ autocontrollo delle reazioni verbali è pari a  zero. Il che  facilita grandemente,  per parlare difficile, l’estroversione sociale della  Schadenfreude sul piano dei comportamenti collettivi.  Anzi, dal momento che  i modelli di comportamento sociale esistono a prescindere (si formano comunque, sono "fatti sociali", al di là del bene e del male), l’esternazione, anche violenta (verbalmente violenta) della  Schadenfreude assurge a modello condiviso e celebrato di comportamento sociale. Il che spiega la catena di  feroci e derisori commenti alla donna ritrovata a pezzi nel cassonetto. E quel  senso di normalità sociale  dell’insulto. Sotto questo profilo,   i Social, agiscono da agente moltiplicatore, da cassa di risonanza di fenomeni sociali emulativi a carattere negativo.
Domanda: Il ritorno a una cultura della deferenza sociale,  potrebbe evitare tutto questo? Si potrebbe usare  la “potenza”  dei Social in senso positivo?  Difficile rispondere. In teoria, forse. Nella pratica, no.  Perché una cultura, come dicevamo prima, che celebra  l’autenticità, quale forma di primitivismo verbale e comportamentale, difficilmente può   imporre freni educativi  alla  estroversione collettiva della Schadenfreude: entrerebbe in contraddizione con se stessa.    Dal momento che le stesse élites che dovrebbero essere di esempio,  scorgono   nell’idea di introduzione di un qualsiasi freno sociale  un pericolo per la  naturalezza e la spontaneità:  valori oggi  celebratissimi.
Si chiama vicolo cieco.  
Carlo Gambescia