La
donna romana fatta e pezzi e gettata nel
cassonetto
Quando dai commenti trasuda Schadenfreude
( ovvero gioia per le disgrazie altrui)
( ovvero gioia per le disgrazie altrui)
Inutile
illudersi, non esiste il progresso
morale: l’uomo è lo stesso da sempre. Può però essere tenuto a freno nei suoi
comportamenti, di volta in volta, dai
costumi e dalle forme di deferenza ispirate a valori politici, morali, religiosi che agiscono come strumenti di
autocontrollo e disciplina sociale. Tuttavia, il
nocciolo duro del suo comportamento è dettato dall’egoismo e dalla
convenienza a rispettare o meno le regole. E come vedremo più avanti, dal piacere, più meno sottile, per le disgrazie altrui, la
Schadenfreude ,
come dicono i tedeschi.
Ovviamente,
non per tutti gli uomini è così. Come in tutti campi, anche in quello morale,
esistono delle élites, mosse da principi superiori, autodisciplina, senso della
responsabilità. Ma élites restano. Insomma, minoranze.
A
questo pensavamo, leggendo sui Social i
commenti a un brutto fatto di “cronaca nera” (come si
diceva un tempo), accaduto a Roma: la donna fatta a pezzi e gettata nel cassonetto (*). Il
tono generale è distinto dall’irrisione:
si guarda alla notizia, come occasione per fare battute più o meno
spiritose. Attenzione: non ci troviamo dinanzi a commenti, come dire
al di là del bene e del male, che certifichino indifferenza morale. Magari. Sono l’esatto contrario, si infierisce, con la consapevolezza di
infierire. Sono dalla parte male,
programmaticamente. Con sadismo.
C’è
chi scherza sulla raccolta differenziata, sui romani che non la sanno fare, sui Rom che “pescano” nei cassonetti,
sulla Raggi, eccetera, eccetera. Inutile, segnalare, la violenza verbale, rivolta contro quei pochi che provano a ricordare agli altri commentatori che un essere umano è stato fatto a
pezzi. Di regola, tra un insulto e
l’altro, si risponde che è bene “smitizzare”;
dire sempre quello che si pensa; mostrare di essere dotati di senso
dell’umorismo. Leggere per credere.
Pertanto,
il problema, non è tanto la tecnologia e
neppure, come nel caso della Rete, il fatto
che sia alla portata di tutti, quanto la natura dell’uomo, che, se non toccato personalmente, avverte subito la Schadenfreude: quel provare piacere per le
disgrazie altrui.
E
qui veniamo al punto. La nostra cultura celebra l’autenticità, che non è
altro che una forma di primitivismo sociale. Sicché risulta priva di quei modelli
di deferenza sociale, che in qualche misura si fondano sulla reticenza, sul non dire tutto quel che si pensa, come strumento di rispetto dell'altro e prolungamento della pace sociale. La civiltà è celebrazione delle buone maniere sociali: l'esatto contrario del primitivismo.
Una cultura, la nostra, dicevamo, dove, di
conseguenza, l’ autocontrollo delle
reazioni verbali è pari a zero. Il che facilita grandemente, per parlare difficile, l’estroversione
sociale della Schadenfreude sul piano dei comportamenti collettivi. Anzi, dal momento che i modelli di comportamento sociale esistono a
prescindere (si formano comunque, sono "fatti sociali", al di là del bene e del male), l’esternazione, anche violenta (verbalmente
violenta) della Schadenfreude assurge a modello condiviso e celebrato di comportamento
sociale. Il che spiega la catena di
feroci e derisori commenti alla donna ritrovata a pezzi nel cassonetto.
E quel senso di normalità sociale dell’insulto. Sotto questo profilo, i Social, agiscono da agente moltiplicatore,
da cassa di risonanza di fenomeni sociali emulativi a carattere negativo.
Domanda:
Il ritorno a una cultura della deferenza sociale, potrebbe evitare tutto questo? Si potrebbe
usare la “potenza” dei Social in senso positivo? Difficile rispondere. In teoria, forse. Nella
pratica, no. Perché
una cultura, come dicevamo prima, che celebra
l’autenticità, quale forma di primitivismo verbale e comportamentale, difficilmente
può imporre freni educativi alla estroversione
collettiva della
Schadenfreude: entrerebbe in contraddizione con se stessa. Dal momento che le stesse élites che
dovrebbero essere di esempio,
scorgono nell’idea di introduzione di un qualsiasi
freno sociale un pericolo per la naturalezza e la spontaneità: valori oggi
celebratissimi.
Si
chiama vicolo cieco.
Carlo Gambescia