venerdì 4 agosto 2017

 L'intervento  italiano in Libia nel 2011 
Salvini:“Processate Napolitano”. 
E Berlusconi, allora? 



Secondo Salvini -  uno sciagurato (politicamente parlando) che nulla fa per abbassare i toni -  l'ex Presidente della Repubblica, "non dovrebbe essere intervistato, pagato e scortato, dovrebbe essere processato"(1) .   
In effetti, al posto di Napolitano avremmo evitato l’ intervista di ieri a "Repubblica" sulle modalità e ragioni dell’intervento italiano in Libia  nel 2011. Perché, come dire, i fatti parlano da soli. Talvolta, il silenzio in politica, vale più di troppe parole.     
Certo,  un’intervista difensiva.  Perché nei giorni scorsi  dal centrodestra si sono levate accuse  contro l’atteggiamento di Napolitano decisamente favorevole nel 2011, per ragioni umanitarie e di legalità internazionale, all'intervento armato per far cadere Gheddafi.  Critiche interessate,  rivolte a guastare quel briciolo di armonia, creatasi, oggi, anno di grazia 2017,  sull'  "allargamento" (parola grossa) della missione italiana in Libia.   Come per dire: se oggi siamo a costretti a inviare "la flotta" (altra parola grossa),  la colpa è di un ex comunista, eccetera, eccetera.   
Nell’intervista  Napolitano dichiara  che

"la consultazione informale di emergenza si tenne in coincidenza con la celebrazione al Teatro dell'Opera dei 150 anni dell'Unità d'Italia. A quella consultazione io fui correttamente associato. Il presidente della Repubblica è presidente del Consiglio supremo di Difesa, e in posizione di autorità costituzionale verso le forze armate, aveva titolo per esprimersi su una questione così importante. Ma quella sera la discussione fu aperta dall'allora consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, Bruno Archi, che era in contatto diretto con New York mentre veniva varata la seconda risoluzione delle Nazioni Unite che autorizzò e sollecitò un intervento armato ai sensi del capitolo settimo della Carta dell'Onu in considerazione del fatto che i precedenti appelli al governo libico non erano stati raccolti. Dal quadro complessivo rappresentato dal consigliere diplomatico di Palazzo Chigi emergeva l'impossibilità per l'Italia di non fare propria la scelta dell'Onu".

Sicché,

"dire che il governo fosse contrario e che cedette alle pressioni del capo dello Stato in asse con Sarkozy, non corrisponde alla realtà. I miei rapporti con l'allora presidente francese erano di certo poco intensi e tutt'altro che basati su posizioni concordanti in un campo così controverso. E non soltanto io trovai fondate le considerazioni del Consigliere Archi, ma concordarono con esse anche autorevoli membri presenti del governo, come il Ministro della Difesa La Russa. L'Italia era interessata a che il da farsi sul piano internazionale in difesa dei diritti umani e del movimento della primavera in Libia non rimanesse oggetto di una sortita francese fuori di ogni regola comune, ma si collocasse nel quadro delle direttive dell'Onu e nell'ambito di una gestione Nato".

Di conseguenza,

" in quella sede informale  potemmo tutti renderci conto della riluttanza del Presidente Berlusconi a partecipare all'intervento Onu in Libia. Il Presidente Berlusconi ha di recente ricordato il suo travaglio che quasi lo spingeva a dare le dimissioni in dissenso da una decisione che peraltro spettava al governo, sia pure con il consenso della Presidenza della Repubblica. Che egli abbia evitato quel gesto per non innescare una crisi istituzionale al vertice del nostro paese, fu certamente un atto di responsabilità da riconoscergli ancora oggi. Però, ripeto, non poteva che decidere il governo in armonia con il Parlamento, che approvò con schiacciante maggioranza due risoluzioni gemelle alla Camera e al Senato, con l'adesione anche dell'allora opposizione di centrosinistra. La legittimazione di quella scelta da parte italiana fu dunque massima al livello internazionale e nazionale".  (2)

Insomma, Napolitano non nasconde la sua posizione di allora, favorevole all’intervento.  E neppure che  la palesò a Berlusconi. E ribadisce che l’ultimo a decidere, formalmente,  insieme al Parlamento, non poteva essere che  il Cavaliere.  Giustissimo.     
Come è altrettanto vero che Berlusconi  fu titubante, salvo poi decidere per l'intervento, alla sua maniera, cambiando idea in quattro e quattr'otto. 


“Abbiamo sentito di non poterci sottrarre'' a un coinvolgimento maggiore dell'Italia in Libia con raid mirati "anche perché c'era bisogno di questo nostro intervento". Silvio Berlusconi, nella conferenza stampa seguita al vertice italo-francese  a Villa Madama, ha illustrato quale sarà l'impegno dell'Italia nella missione in Libia, facendo anche una gaffe terminologica: "A leggere i giornali sembra che ci apprestiamo, così come i nostri alleati, a fare i bombardamenti, quelli famosi con le bombe a grappolo (...),  si tratta di interventi con dei razzi di estrema precisione su singoli obiettivi militari, come mezzi in movimento e via dicendo". 
Il premier ha poi spiegato che il cambio di posizione è stato in qualche modo imposto dalle pressioni alleate: "L'Italia dava già un contributo con i suoi velivoli e navi, ma insistentemente ci hanno chiesto gli alleati e gli Usa di poter far intervenire i nostri velivoli su obiettivi militari", ha detto il premier, aggiungendo di poter "escludere con certezza" la possibilità di "provocare danni alla popolazione civile". Berlusconi ha aggiunto che la decisione  "è il seguito logico della decisione Onu", alla quale "abbiamo sentito di non doverci sottrarre perché riteniamo che di questo nostro intervento c'è bisogno". "Non è stata facile la decisione del nostro Governo, e io conto di parlarne ancora con gli alleati della Lega che erano sulle mie stesse posizioni - ha aggiunto Silvio Berlusconi - Non volevo che l'Italia fosse una partecipante non a pieno titolo".  (3)


Il Cavaliere avrebbe potuto puntare i piedi. Dimostrarsi “meno responsabile”. Ma chinò la testa. Come avverrà in occasione del defenestramento: Berlusconi, addirittura  voterà a favore del Governo Monti (4). 
Per quale ragione il Cavaliere  rinunciò a battersi per le proprie idee?  Di andare in Parlamento per stanare gli avversari? Anche a costo di cadere?  Formalizzando però, come in ogni democrazia parlamentare,  la distanza politica  tra maggioranza e opposizione sulla decisione di intervenire o meno in Libia?     
Perché non lo fece? Difesa dei propri interessi? Pavidità politica? Cattivi consiglieri?  Noia del "teatrino"?  O altro ancora? Decideranno gli storici. 
Concludendo,  a voler applicare fino in fondo la brutale logica di Salvini,  andrebbe invece processato il Cavaliere.   

Carlo Gambescia   

(4) Si veda, ad esempio,  il  resoconto del giornale antiberlusconiano per eccellenza: