Nuovo attentato islamista:
furgone-kamikaze sulla folla, morti e feriti a Barcellona
Chi di umanitarismo ferisce, di
umanitarismo perisce
La
grande recita umanitarista è ricominciata. Dalla Rambla di Barcellona. La recita è collettiva, riguarda tutti: terroristi islamici, mass media, ministri e politici. Quanto durerà? Qualche
giorno, poi il silenzio. Fino al
prossimo attentato.
Purtroppo,
la realtà è questa. Ogni volta, si replica, come a teatro: i terroristi colpiscono duro, la
polizia arresta e uccide, se proprio non
può farne a meno, i mass media piangono
i morti, nelle piazze si accendono lumini tra lo sventolio delle bandiere arcobaleno, i politici dichiarano all'unisono che
aumenteranno le misure di sicurezza, senza però violare i "diritti umani". E così via. Fino al prossimo eccidio.
Per
quale ragione? Perché l’ Europa, in
questa dolciastra recita collettiva, rifiuta
di prendere coscienza del ritorno di una
minaccia epocale: l’Islam jihadista, prima
nella veste di una guerra
civile incombente, poi, quando sarà il momento giusto, della guerra di riconquista. Un rifiuto suicida, che consiste nel
minimizzare il pericolo e nel
credere che la secolarizzazione, prima o poi,
guadagnerà anche il cuore degli islamisti. Insomma, che buon senso e umanitarismo prevarranno: chi può amare la guerra?
Si
chiama strategia della fiduciosa attesa. Ed è appunto impregnata di umanitarismo. Una scelta che però non ha alcun senso, quando è il nemico che
ti indica come tale. E vuole
distruggerti, a prescindere dalla tua benevolenza verso di lui.
Il nostro nemico ama la guerra, eccome. Sveglia! Altro che porgere l'altra guancia o limitarsi a qualche buffetto. Servono misure radicali: dai tribunali
speciali, alla dichiarazione dello stato di guerra nelle zone attaccate (o a rischio), al ritiro o sospensione della nazionalità nei riguardi di terroristi e complici morali, al rimpatrio forzato, se serve, collettivo, con il ferro o con il denaro. Per non parlare della necessità di una strategia militare sul
piano internazionale, nei termini di una vera propria occupazione militare e
normalizzazione del Medio Oriente: non basta vincere, bisogna presidiare il territorio. Ovviamente, per il pacifismo umanitarista, queste sono tutte utopie, per giunta pericolose. Gli amici dell'arcobaleno consigliano invece di attendere, aprirsi ancora di più, e, soprattutto, di credere fiduciosamente nella
buona fede del nemico e nella sua buona
volontà. Amen.
Dietro
questo atteggiamento suicida, non c’è alcun complotto, ma solamente una stupida
fede
nei valori dell’umanitarismo, ormai penetrata - anche a colpi di martellate mediatiche - in tutti gli strati della nostra
società. Un atteggiamento che si condensa in alcune idee: quelle del dolce commercio che si sostituisce alla guerra e del welfare alla povertà; l’idea che la ragionevolezza umana alla lunga vince sempre; l'idea della manipolabilità degli uomini attraverso
l’educazione e l’istruzione.
Si dimentica però che i valori umani, contro Hitler,
furono difesi con le armi in pugno, fino all’ultimo uomo. E non a colpi di carte socialistoidi dei diritti. Che però seguirono i bombardieri. Questo per dire, che pur
tra le differenze ideologiche e
organizzative, la gravità della crisi che ora stiamo attraversando è la stessa di allora.
Insomma, chi di spada ferisce, di spada perisce. Si
tratta di una grande verità politica che l’Europa
e l’Occidente sembrano aver dimenticato. Per sposare la causa dell’umanitarismo
disarmato si è ripudiata la prima moglie: quella del liberalismo armato.
Si
è dimenticato che il liberalismo, il vero liberalismo, si nutre di grandi tradizioni
militari. E soprattutto che non ha nulla a che vedere con l’umanitarismo di derivazione
socialista e pseudo-cristiana: i soldati di Cromwell difesero l'idea liberale di rappresentanza politica; i coloni americani si liberarono dal giogo inglese impugnando i fucili; le navi britanniche, armatissime, difesero sui mari
il libero commercio; i moschetti napoleonici favorirono la diffusione dell'idea liberale in tutta Europa; le rivoluzioni liberali dell’Ottocento, a partire da quella italiana, vinsero sui campi
di battaglia. Pertanto la vittoriosa guerra contro Hitler non è che il portato di una lunga tradizione liberale che non ha mai disdegnato, quando necessario, l'uso delle armi. Il realismo liberale è una cosa, il pacifismo socialista un'altra. Mai dimenticarlo.
Cosa
significa tutto questo? Che, oggi, il rischio è grosso. Perché, purtroppo, vale anche il contrario: chi di umanitarismo ferisce, di umanitarismo
perisce.
Carlo
Gambescia