La celebrazione mediatica di Lady Diana
God Save the Queen (Elisabeth)
Una delle costanti metapolitiche più interessanti del comportamento collettivo individuate dalle scienze politiche e sociali, più di un secolo fa, rivela la preferenza dell'uomo per l'obbedienza verso entità astratte (la divina provvidenza, il gioco del caso e della fortuna, il sistema oggettivo delle leggi), piuttosto che verso gli ordini di altri uomini ( un monarca, un dittatore, un presidente a vita, un leader politico). Fermo restando, che anche in quest'ultimo caso, l’obbedienza finisce sempre per essere "mediata" da una qualche forma di carisma personale o principio astratto (il prescelto del signore, l’uomo delle provvidenza, il diritto divino, la sovranità popolare). In sintesi: psicologicamente pesa meno dipendere da un'entità astratta che da un altro uomo. Il che, ovviamente, rinvia ai risvolti socio-politici, accennati negli incisi "tra parentesi".
A
questo pensavamo, osservando la
grande attenzione riservata dai mass media a Lady Diana, aspirante regina, mai intronizzata, morta in un grave incidente
automobilistico, per sfuggire ai flash dei reporter. Un tragico evento, a dire il vero, molto hollywoodiano - si pensi all' indiavolato inseguimento automobilistico - che con la monarchia, e le sue
regole di obbedienza ( e deferenza), apparentemente aveva e ha poco a che fare.
E invece, proprio in seguito alla sua tragica morte, che in qualche misura ha dettato la rilettura mediatica della sua vita in chiave Vasco Rossi, Lady Diana sembra essere
diventata, insieme a personaggi come Mandela e altre "vacche sacre" dell’umanitarismo
contemporaneo, l’emblema della disobbedienza. E' proprio così? No, perché siamo, più semplicemente, dinanzi, alla trasposizione del bisogno di obbedienza (perché gli uomini devono comunque obbedire a qualcuno o qualche cosa), in direzione di una persona, elevata - attenzione - a principio umanitario, quindi
astratto.
Qual
è invece la tesi mediatica? Molto banalmente:
che se Diana fosse ascesa al trono, sarebbe diventata un specie di regina repubblicana, e per questo
ammirata e obbedita dal popolo. Una contraddizione in termini: le monarchie
repubblicane sono fantasie umanitaristiche. Eppure, questa è la leggenda aurea che va per la
maggiore, con ovvio pendant complottista (ma questa è un'altra storia, che rinvia all'archetipo fiabesco della regina vecchia, brutta e cattiva, che vuole la morte dell'aspirante regina giovane bella e buona).
Dicevamo
della preferenza degli uomini per l' obbedienza verso il "principio astratto". Ci spieghiamo meglio: Lady Diana, in apparenza era
una persona che lottava contro il principio astratto, al tempo della sua morte, rappresentato dalla monarchia per diritto divino (
o quasi). In
realtà, ripetiamo, anche Lady Diana, incarnava un principio astratto, quello della regina per sovrano diritto del
popolo. Pertanto,
il conflitto, ogni volta che i media pigiano l’acceleratore sulle celebrazioni, non è tra due forme di obbedienza alla monarchia
(principio astratto) e alla donna, Lady Diana (persona concreta), bensì tra due principi astratti: quello della monarchia per diritto divino e quello
della monarchia per volontà della nazione. Conflitto che ci riporta alle
origini delle monarchie costituzionali post-Rivoluzione francese, dove in molte
Carte Costituzionali, dell'Europa continentale, si recepiva questa doppia forma di obbedienza del re
(e quindi del popolo), alla volontà di dio e della nazione. Problema
assente invece in Gran Bretagna, dove non è mai esistita una costituzione
scritta e il potere reale, pur derivando
da dio, è stato progressivamente laicizzato e limitato
attraverso, brusche impennate rivoluzionarie, poi accordi
politici, infine tacite convenzioni: miracoli dell’arte di governo
e del modello Westminster (parlamentare), di cui i britannici se ci passa l’espressione, hanno il
copyright. Beati loro...
Però il culto di Lady Diana, con il suo grande seguito, indica che il popolo ( o comunque parte di esso) vuole sì obbedire, ma al principio
repubblicano.
Che dire ? God Save the Queen (Elisabeth).
Carlo Gambescia