Il pacibuonismo
di Teodoro
Klitsche de la Grange
L’articolo di Carlo Gambescia del 26 novembre (*) mi stimola a fare un paio di postille, rivolte
più (servendomi della terminologia paretiana) alle derivazioni che ai residui.
Il calo dello spirito bellicista è dovuto, oltre
agli immensi disastri delle guerre – mondiali, ma non solo – del XX secolo, al rifiuto
della guerra, esternato da gran parte delle classi dirigenti dell’Europa
occidentale, al potere dopo la fine della II guerra mondiale, e attualmente
ancora al governo. Di tale rifiuto sono state date varie giustificazioni
(ricordate da Carlo); tutte che non tengono conto del (dato di) fatto che una
guerra può essere illegale, immorale, irreligiosa, antieconomica, antiecologica
e antiscientifica, ma tuttavia dato che per farla basta la decisione di un
nemico – il quale spesso la prende assumendosi lui il carico di tanta immoralità,
illegalità, ecc. ecc. - resta un evento che si deve affrontare. E la decisione
è semplice: o non farla arrendendosi e comunque cedendo alla volontà del
nemico, o difendersi.
Nel secondo caso (per la guerra occorrono due
contendenti) occorre essere preparati a farla, e la preparazione è in primo
luogo, psicologica, e in secondo
luogo materiale.
Per cui i Romani, che di politica s’intendevano,
avevano coniato l’adagio si vis pacem
para bellum, cosa che evitò loro gran parte delle guerre che avrebbero
potuto scoppiare. I nemici della repubblica e poi dell’impero, sapevano bene
che avrebbero trovato un esercito preparato (e potente), una classe dirigente
non arrendevole, una popolazione
decisa a difendersi.
Ma se al contrario, la classe dirigente e in
particolare, l’élite (non è complimento, ma ossequio a Pareto) intellettuale predica
che il nemico non è differente da noi sul piano etico (Hegel scriveva che il
nemico è la differenza etica), anzi
talvolta un po’ meglio di noi, che la guerra va comunque rifiutata perché
dobbiamo essere morali, legalitari, ecocompatibili ecc. ecc., siate sicuri che
il nemico, sicuro di trovare poca o punta resistenza (questa riservata alla
storia) si sentirà incentivato e rassicurato a farcela.
Anche perché i parternostri che certi
predicatori vanno ripetendo continuamente nelle nostre società debellicizzate,
sono generosamente impartiti perché graditi all’uditorio, che si sente
solleticato o confortato dal vellicamento delle proprie aspirazioni,
sicuramente buone, ma altrettanto sicuramente aspirazioni – e non realtà.
Discorsi che piacciono all’uditorio sono il mezzo per ottenere consenso, approvazione
e soprattutto costruirsi una buona carriera e una comoda nicchia di potere. Ma
altrettanta attenzione non conseguono presso il nemico, che di tali parole alate non si commuove. Anzi si
frega le mani pensando agli utili idioti
di Lenin. E sarebbe interessante disporre in rete di un video sulle spontanee
reazioni che potrebbe riservare un reparto dell’ISIS ad un commosso sermone di
un predicatore bo-bo.
A parte ciò, e tenuto conto dell’incidenza dei
buoni propositi sul nemico, appare assai probabile – per non dire sicuro – che
il miglior modo di farsi attaccare, cioè per subire una guerra è quello di predicare il pacibuonismo, quel misto di buone intenzioni e di richiami
morallegalitari che imperversa.
Un’ultima nota. Sosteneva Pareto che le classi
dirigenti in ascesa sono energiche e non rifuggono dall’uso della forza; quelle
senescenti, fanno prevalentemente uso dell’astuzia. Quindi il pacibuonismo non è espressione solo di santità
o di superiorità morale, ma di astuzia di pavidi (e decrepiti). E non credete
che il nemico non abbia letto Pareto – e non solo.
Teodoro
Klitsche de la Grange
Teodoro
Klitsche de la Grange è avvocato,
giurista, direttore del trimestrale di cultura politica “Behemoth" (
http://www.behemoth.it/ ).
Tra i suoi libri: Lo specchio infranto (1998), Il
salto di Rodi (1999), Il Doppio Stato (2001), L'apologia
della cattiveria (2003), L'inferno dell'intellettuale (2007), Dove va
lo Stato? (2009), Funzionarismo (2013).
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